60 Minuti con: San Marco e Phonz

Author Matteo Todisco editor
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Calendar 17/12/2018
Time passed Tempo di lettura 5 min

Che vita fa un uomo che di mestiere customizza moto? E due, invece? Oggi ho intervistato San Marco e Phonz, i cofondatori di Anvil Motociclette. Capire da dove nascono certe passioni è sempre un viaggio affascinante, soprattutto se parte quando si è bambini e in una maniera non così lineare come si possa pensare. A chiacchierare mi sono fatto l’idea di essermi catapultato in un film degli anni ‘70.

A Million Steps

Cos’è successo al vostro primo incontro?

San Marco: Ci siamo incontrati per la prima volta in prima superiore nel 1998 all’Istituto d’Arte Paolo Toschi di Parma, come riporta il nostro tatuaggio sul petto. Io, che sono di Castel San Giovanni (provincia di Piacenza), mi sono messo in collegio apposta solo per fare questa scuola. Mentre lui ― Phonz ― era già di Parma.

I primi anni non ci siamo molto interessati dell’altro. È tutto partito dalla terza, dove ero solo io quello che andava realmente in moto e fin da piccolo facevo motocross. Si prendeva la macchina di papà col gancio dietro, e i miei amici più grandi guidavano per andare poi a fare i giri in moto nei weekend.

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Phonz: Ho iniziato a interessarmi alle moto a cinque anni perché mio papà correva in motocross negli anni ‘70. La cosa era che in famiglia c’erano solo quadri e foto dell’epoca; le moto erano state tutte vendute.

Un bel sabato pomeriggio mio papà torna a casa col camion e mi porta una minimoto. Ero così piccolo che quando ero solo con mia nonna, lei doveva farmi partire e riprendermi; se no cadevo.

Al liceo, passo allo scooter ― Yamaha Aerox ― perché era molto più comodo. Il discorso moto l’ho ripreso con la patente dell’auto. Passa del tempo e, dopo aver giocato a baseball per quattordici anni, ho visto una moto che mi piaceva da morire: la mia prima moto fu una Ducati Scrambler 350 anni ‘70. Da lì ho iniziato a collezionare moto d’epoca.

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I nomi ci hanno sempre incuriosito: perché ‘Anvil’?

San Marco: In italiano la parola anvil significa “incudine”, cioè la rappresentazione del tatuaggio che abbiamo sul petto, fatto per sigillare la nostra amicizia. È venuto molti anni prima del marchio.

Phonz: Partiamo un pezzo indietro. Dopo Milano ognuno di noi ha pian piano intrapreso il mondo delle moto in modo diverso. Ma, a un certo punto, entrambi abbiamo deciso di collezionare moto d’epoca, essendo sempre stati appassionati di moto.

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Come mai è nato questo progetto? Un giorno, giocando con una moto di Marco che non valeva la pena restaurare completamente come l’originale, ci siamo detti: ‘perché non proviamo a fare una moto come piace a noi?’ Le prime due Anvil sono state proprio le nostre.

Poi, sotto un altro punto di vista, siamo sempre stati dei customizzatori: Marco modificava le macchinine (anche quelle radiocomandate) fin da piccolo. Da lì, lui è passato alle auto e io all’abbigliamento alle superiori.

Sentivamo il bisogno di tracciare una linea guida di tutto il lavoro fatto: creare un senso e un mondo intorno. In altri termini, un’immagine coordinata del progetto. E allora: cos’è quella cosa che ci rappresentava di più? Il nostro tatuaggio.

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Cosa vi va di ascoltare?

San Marco: Ascolto di tutto, anche canzoni da sagra di paese. Ma i Dire Straits sono un po’ la nostra colonna sonora.

Phonz: Prima ero più da rock anni ‘80. Invecchiando sono diventato più country: quella cosa da baffo, cavallo e diligenza.

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Se fosse un film?

San Marco: Sono un tipo più diretto di lui e ti dico Renegade un osso troppo duro.

Phonz: Io sono uno di quelli che piange coi film. Parto subito con L’uomo dei sogni (che parla di baseball), Pomodori verdi fritti alla fermata del treno (sono un super sentimentale) e Ragazze vincenti (con Madonna). Mi ricordano la mia infanzia.

Ma anche tutti i film con Bud Spencer e Terence Hill, come Marco. Poi mi piacciono davvero le serie tv degli anni ‘70, quelle di una generazione prima di noi. Sarà che sono proprio un nostalgico e mi sento contestualizzato in un’altra epoca: è come se vivessi negli anni ‘70 nell’America del sud.

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Fatemi immergere lì, nel vostro mondo. Ditemi qualcosa del posto dove siete cresciuti.

San Marco: Ricordo della mia prima finta moto che mi regalò mio nonno, ovvero una mini Vespa elettrica tutta rossa. Avrò avuto tre o quattro anni. Appena l’ho accesa ci sono saltato sopra e ho fatto le scale di casa per uscire. 10 gradini in discesa e l’ho spaccata.

Phonz: Ho sempre guardato tanta televisione, e molti dei miei ricordi sono legati ai film, come se avessi vissuto dei momenti lì dentro. I miei nonni avevano una casa in montagna e ricordo che pensassi di vivere il film Stand By Me: avrò avuto dieci anni e me ne andavo in giro in bicicletta tra i boschi senza alcun pericolo.

Amavo andare vicino a una vecchia fonte che avevamo soprannominato “L’acqua solforosa”. Immagina un posto incredibile immerso nel verde con un torrente che scendeva e quest’odore particolare che saliva dall’acqua. Da film.

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Ma voi viaggiate mai in moto?

San Marco: Ne abbiamo fatti in passato. Appena messo su Anvil abbiamo fatto un viaggio con le moto costruite con le nostre mani ― un viaggio epico con delle moto della fine anni ‘70/’80 ― in direzione San Sebastián (Spagna). Ne sono successe di ogni. E pensare che un serbatoio l’abbiamo lasciato in autostrada.

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Phonz: Marco era partito con una moto che, senza dire niente, aveva il serbatoio bucato, aggiustato con la pasta rossa del motore. Ha dovuto cambiarlo in autostrada. Come fai ad aggiustare un serbatoio anni ‘70 che hai modificato tu? A voi non sembra ancora tutto un film?

Beh, una di quelle notti si ferma la moto a Marco in autostrada. Io e un altro nostro amico ci siamo messi dietro di lui, in pendenza in autostrada, a fare luce con le nostre moto. Poi passa un camion, ne passano due e poi il terzo. Le nostre moto ondeggiano e si ribaltano una sopra l’altra. Il buio più totale.

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San Marco: In generale, quando fai un viaggio così lungo, devi pensare a tutto: tipo a dove mettere i bagagli. Un anno sono riuscito a trasportare una canna da pesca che avevo preso in viaggio, anche se non avevamo mai pescato nulla.

Hai presente Sampei? Era un bastone che avevo pensato bene di metterlo sul manubrio della mia moto. Pensa che era difficile passare in mezzo alle macchine in autostrada.

Phonz: Marco stampava la cartina del nostro tour rivisitata a mano, e l’appiccicava sul serbatoio. Ovviamente, il navigatore non esisteva e bisognava arrangiarsi.

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Se non fosse andata così, che altro mestiere avreste voluto fare?

San Marco e Phonz: Questo è un momento in cui stiamo ragionando molto su cos’altro vorremmo fare all’interno di Anvil. Ci piacerebbe avere uno spazio fisico in cui la gente può respirare tutto questo mondo qui. E se racchiudessimo tutto in un unico grande contenitore e con tanto verde?

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Tutte le foto sono di proprietà degli Anvil, gentilmente ripescate dai loro archivi personali
redits

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