1992 La serie: il marcio dietro l’eleganza

Author LongTake contributor
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Calendar 25/09/2017
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1992, ci siamo dentro. Anno spartiacque della storia italiana così lontano e così vicino, indelebile nella memoria eppure degno d’essere riletto con spirito cinico nell’eponima serie TV Sky del 2015 nata da un’idea di Stefano Accorsi.

Ambientata tra la Milano da bere infestata da imprenditori di Tangentopoli e la Roma decadente dei parlamentari corrotti, ‘1992’ è una delle produzioni più significative della recente serialità italiana, anche per come fa dell’accurata ricostruzione d’epoca la chiave della sua spregiudicata coolness.

Nella versione romanzata delle inchieste di Mani Pulite e di un’Italia alle soglie del berlusconismo, tra un video di repertorio di ‘Non è la Rai’ e la sigla di ‘Casa Vianello’, la moda gioca un ruolo basilare, con i costumi di Roberto Chiocchi che si ispirano dichiaratamente allo stile di Giorgio Armani ma vanno minuziosamente a cogliere ogni trend del periodo.

“Sei come quel quadro, tu: elegante, freddo, ferito”.

La sobrietà dello stilista piacentino, per esempio, sembra la cifra distintiva dell’elegante e torbido Leonardo Notte, incarnato da Accorsi, mente brillante di Publitalia che sotto immacolati completi ha sepolto un passato da studente militante nella Bologna del ‘77, responsabile della morte per overdose di una ragazza.

Sorta di Don Draper aggiornato ai Nineties e allo yuppismo sfrenato dei rampanti colletti bianchi Fininvest, Notte è sempre impeccabile in giacca e cravatta, che abbandona solo per il look casual della trasferta estiva in Sardegna o per l’elegantissimo smoking del gala organizzato dal Cavaliere.

Alla classe di Notte si oppongono il ben più trasandato stile del giovane poliziotto Luca Pastore (Domenico Diele), in vesti casual piuttosto anonime, e soprattutto quello del Pietro Bosco, interpretato da Guido Caprino.

Reduce dalla Guerra del Golfo che diventa per caso militante della Lega Nord e parlamentare in rapida ascesa politica, Bosco è al centro di una trasformazione esteriore che contrasta con la reale l’incapacità di mutare la sua natura intima.

“Dalle felpe sportive che mettono in risalto il corpo da rugbista e la prossemica di un animale in gabbia, il leghista è costantemente a disagio negli ingessati completi da deputato, che non contengono la rozzezza del proletario milanese di periferia”.

Personaggio a rischio macchietta eppure tra i più riusciti, Bosco rappresenta, in modo semplicistico quanto efficace, l’immagine di una certa antipolitica sanguigna, viscerale e ignorante, ma è al tempo stesso una figura ineluttabilmente tragica.

L’importanza della moda dell’epoca si nota però soprattutto nei personaggi femminili, a partire dall’aspirante soubrette Veronica Castello (Miriam Leone), ex squillo amante di un magnate disposta a tutto per ottenere un posto in televisione.

A dispetto dell’avvenenza e della popolarità raggiunta dall’attrice che la interpreta, Veronica è una delle (anti)eroine più negative viste sul piccolo schermo italiano, una donna dall’ambizione quasi ossessiva che maschera tormenti e insicurezze dietro lo stile lezioso di un’amorale femme fatale.

“Il pubblico ne ricorda soprattutto le scene generosamente senza veli, ma gli outfit indossati dalla Leone sono fondamentali per la nostra analisi, con un look audace e provocante che si fa sempre più sofisticato lungo la sua discesa infernale verso un mondo di favori sessuali e corruzione”.

Quasi sempre in abiti scuri per sottolineare il buio di un’anima con più ombre che luci, o in tonalità color carne per accentuarne la sensualità, tra seducenti top, abiti da gala e maxi orecchini, la Castello rispecchia il lato più sexy dell’epoca, ma riflette al tempo stesso uno stile volutamente ispirato alle dark lady dei noir anni Quaranta.

Il cambiamento più estremo è però quello che interessa il personaggio impersonato da Tea Falco, la tormentata figlia di papà Beatrice “Bibi” Mainaghi. All’inizio Bibi (quasi un aggiornamento del personaggio interpretato dalla Falco in ‘Io e te’ di Bertolucci) è una ventenne nichilista e incline all’uso di droghe pesanti, pecora nera che tenta disperatamente di sfuggire alle regole di una famiglia alto-borghese tra party notturni e una vita borderline.

Per accentuarne la personalità ribelle, Chiocchi la veste di un look tra il dark e il grunge, in total black con collant in pizzo e fedora nera, come fosse la protagonista dannata di una ballata rock.

Poi, quando alla morte del padre è costretta a prendere le redini dell’azienda e a scendere a patti con gli alleati mafiosi, Bibi muta radicalmente, trasformandosi in una raffinata donna d’affari in abiti firmati, ingioiellata come una principessa decadente e con la sigaretta perennemente tra le dita.

Ragazzina cresciuta troppo in fretta e nuovamente ingabbiata in un ruolo ― quello della boss collusa con la malavita ― Bibi si nasconde dietro impeccabili tailleur, confermando così come l’apparenza e l’artificiosità, costruite anche attraverso l’abbigliamento, siano espressione dell’intero coro dei protagonisti (non fa eccezione Pastore, se pensiamo che sotto i vestiti da poliziotto c’è un fisico martoriato dall’Aids).

“Ognuno di loro indossa una maschera, nell’illusione di celarvi la propria vera natura”.

L’interessante lavoro sui costumi di ‘1992’ prosegue nel sequel ‘1993’, soprattutto per i personaggi femminili. Se il look di Veronica si fa ancora più audace e dark per sottolinearne la corruzione morale, Bibi è abbigliata in costumi minuziosamente studiati che ricordano una sorta di moderna samurai.

Colpisce la svolta sexy della giornalista Giulia Castello (Elena Radonicich), parallela alla sua discesa verso l’ambiguità etica, mentre offrono interessanti spunti le due new entry Arianna (Laura Chiatti) ed Eva (Camilla Semino Favro): sobria e materna la prima, rock e ribelle ma fragile la seconda, entrambe inutilmente impegnate a portare briciole di umanità in un mondo sempre più amorale.

Foto in apertura di Davide Lanzilao/Contrasto e video da YouTube
redits

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