Partiamo dal fatto che la nostra redazione ama le illustrazioni, e che cerchiamo di usarle il più possibile nel magazine. Quando poi incontriamo qualcuno che dal disegno sa creare una negazione, ci diventa impossibile non interessarci. Cecilia Campironi è un’illustratrice romana che ha creato una serie (è ancora aperta) molto particolare. Everything but shoes nasce dall’osservazione dello scivolo dei suoi nipotini, e racconta la storia delle “non-scarpe”.
Ciao Cecilia, cosa deve avere un illustratore?
È una figura che racchiude in sé diverse competenze. Per poter fare del disegno il proprio mestiere è necessario trovare un equilibrio tra talento artistico e intraprendenza, tra passione e ragione.
Da bambina cosa disegnavi?
Prati, campi di grano, cieli e sfumature. Ricordo che avevo un istinto irrefrenabile di disegnare sui muri. Lasciavo puntualmente qualche geroglifico dietro gli stipiti delle porte e una volta ho realizzato un viale alberato per le casette di coccio che mia madre teneva appese al muro.
Parliamo del tuo ‘Everything but shoes’, i progetti personali servono per dare sfogo al tuo pensiero creativo o vengono pensati con un fine lavorativo?
Senza dubbio ogni progetto personale parte come puro divertimento. È un vero e proprio sfogo per l’illustratore, che fondamentalmente non fa altro che disegnare, a suo modo, quello che vogliono gli altri. A differenza dei lavori su commissione, quelli personali non nascono perché cerchi un’idea, ma piuttosto quando è lei a cercare te.
Quando ti abbiamo proposto l’intervista ci hai detto che questo era il ‘contesto più azzeccato per ospitare le (tue) non-scarpe’. Com’è nata la serie?
La serie delle non-scarpe è nata semplicemente quando, guardando lo scivolo dei miei nipoti, ho pensato: buffo sembra una scarpa. Fatto il primo schizzo il resto è venuto da sé, senza nessuno scopo se non quello di giocare. Un’idea ha tirato l’altra e, ora che la serie inizia ad avere un discreto numero di modelli, non mi dispiacerebbe se diventasse qualcosa di concreto, un libro o, perché no, un progetto da realizzare in collaborazione.
Perché scegliere i piedi rispetto ad altre parti del corpo?
Non c’è una ragione particolare per cui ho scelto di disegnare piedi in tutte le salse. Però ho pensato che potrebbe essere un’inconscia conseguenza della mia passione per le mani. Ultimamente ho iniziato anche a disegnare facce ora che ci penso. È certo che tra i soggetti che mi piace più disegnare c’è l’essere umano. Mani, piedi, facce, ma anche stati d’animo e attitudini.
Come realizzi le tue creazioni?
Dipende, vario di anno in anno. Al momento uso per lo più pastelli a cera, monotipia, ma anche molto Photoshop e la penna grafica. Normalmente non vado oltre le dimensioni di un A3. Su grandi dimensioni mi piace dipingere, come sui muri o sulle tele.
Raccontami della tua giornata passata a disegnare.
Provo a fare del mio meglio. Suddivido le mie giornate a seconda delle priorità e scrivo tutto ― ma proprio tutto ― quello che devo fare su uno di quei grandi calendari mensili da scrivania che tengo sempre sotto gli occhi.
Per me è necessario compensare le ore al computer con progetti che mi portano all’aria aperta, in altre città, possibilmente in mezzo a tante persone e bambini. Così poi mi stanco e penso a quanto mi manca la solitudine del mio studio.
Poi, dopo giorni fossilizzata alla scrivania, mi annoio di stare zitta e ferma e mi viene voglia di uscire di nuovo. Ecco, un equilibrio tra estremi.
Penso che, per noi italiani, il nostro paese abbia una grande influenza a livello creativo. Quanto pesa “fare cultura” a Roma?
Non posso darti tutti i torti, per quanto mi riguarda. La mia testa non smette mai di assorbire stimoli e ispirazione da ciò che mi circonda. Luoghi, strade, colori, cultura, cibo, le persone che incontro, le esperienze che vivo.
Roma è la città dove sono cresciuta, sia come persona che come illustratrice. È tanto bella quanto ingombrante, e per forza di cose si è più che radicata nel mio immaginario. È una città che ti dà molto ma ti chiede molto. Viverci è molto impegnativo e chi vuole fare cultura a Roma non è certo facilitato ma, per fortuna, è una città di coraggiosi.
Quanto di “italiano” c’è nel tuo stile?
Una buona dose di italiano è presente sicuramente nel mio lavoro. A partire dall’italiano inteso come lingua. Sono una fan dell’italiano, mi piacciono le sue sfumature, i giochi di parole e mi piace metterli in relazione con il linguaggio visivo.
L’influenza più grande la subisco passivamente dalla vita di tutti i giorni e, quindi, i miei disegni hanno i colori dei luoghi che vedo, i personaggi sono quelli che incontro sul tram, le forme somigliano all’architettura della mia città.
Mi piace disegnare del posto dove vivo, così come sono curiosa di conoscere le abitudini degli altri paesi. Se dovessi realizzare un lavoro di rientro da un viaggio, riverserei molto di quello che ho visto nei miei disegni.
Dove ti piacerebbe vedere esposti i tuoi lavori?
Mi piacerebbe poter fare una mostra personale in una galleria, anche non strettamente legata al mondo dell’illustrazione, magari all’estero. Essendo il mio un mestiere in continua evoluzione, mi aspetto semplicemente di continuare a camminare, correre quando serve e restare dove posso. Possibilmente senza smettere mai di disegnare.