L’uomo si vede da due cose: dalle scarpe e dall’orologio che indossa. A Milano esiste ancora un posto dove il tempo si ferma, letteralmente. Dal 1995, presso I Signori del Tempo ci si occupa di vendere, comprare, riparare e restaurare orologi d’epoca (e da collezione). Un posto immerso nel cuore della città dove qui si può ancora respirare il fascino e la cultura del mondo dell’orologeria, scoprendo storie di uomini e orologi che hanno fatto la storia. Siamo andati a parlarne con Gabriele Vittozzi che, insieme a suo figlio Manuel, porta avanti il mestiere.
Ciao Gabriele, come è nata l’idea di aprire questo posto?
Inizialmente è nato tutto per gioco, come un negozio di quartiere: venivo da una mia attività di orologiaio e gioielliere; quest’ultima parte non mi appassionava più. Non volevo aprire un classico negozio di orologi, ma più una sorta di club per appassionati. Un posto privo di rigidità, un posto fresco dove fosse bello andare. Siamo cresciuti tanto in questi 22 anni, abbiamo varcato le soglie di Milano e siamo conosciuti anche all’estero, ma l’atmosfera non è cambiata.
Com’è una giornata da riparatore del tempo?
Arrivo in negozio intorno alle 10, e la prima mezzora la dedico a organizzare la giornata lavorativa. Le cose da fare sono molte: sistemare la vetrina, procedere con le riparazioni che facciamo qui ― abbiamo tre banchi di lavoro dedicati. Ogni lavoro è assegnato all’orologiaio più esperto per tipo di intervento. Io mi dedico soprattutto ai lavori più delicati― come il restauro di orologi d’epoca, oltre che a seguire il cliente che entra da noi.
Quanto tempo rimani a lavorare su un orologio?
Dipende da che tipo di intervento c’è da fare, e anche quanto è importante il lavoro che fai sul futuro dell’orologio. In generale, si procede così: un orologio semplice, un automatico, che non funziona va smontato, per capire cosa non funziona.
Poi, una volta riparato, si lava e si lubrifica in fase di rimontaggio. Dopodiché si pulisce la cassa, si tolgono i graffi, si cambiano le guarnizioni e, una volta rimontato, si controlla che tutto sia tornato in funzione. Una riparazione così occupa una persona per circa 6 ore di lavoro.
Bisogna sempre ricordarsi che l’orologio ― meccanico, di cui lui si occupa ― pur essendo una macchina piccola, è l’unica macchina in grado di partire e funzionare 24/7 per decenni. È piccolina, delicata, ma perfetta. E come tale va trattata.
L’orologio più raro che posso trovare qui dentro?
Da qui sono passati molti orologi che, vuoi per antichità, per prestigio o per bellezza, possono essere considerati pezzi unici. Ogni bell’orologio ha la propria bellezza e la sua rarità. Ogni modello ha un’infinità di varianti: lancette, quadrante, cassa, meccanica.
Se dovessi sceglierne uno in particolare, opterei certamente un Rolex. È il brand con cui lavoriamo di più e che abbiamo davvero studiato, che grazie ai suoi orologi sportivi, ai cronografi degli anni ’50 e ’60, ha raggiunto elevati livelli di bellezza e fascino. Per questo sceglierei un Submariner: un senza data, pulito ed essenziale, nato come orologio da lavoro.
Che orologio hai al polso?
Oggi porto un vecchio Daytona a carica manuale d’oro, un orologio che ha molta storia. Ho molti orologi che sento proprio miei, che magari non hanno un grande prestigio ma con cui ho un forte legame affettivo o storico.
Raccontaci di una storia dietro questi orologi.
Il Panerai che vedi su quel libro per esempio ― che ora non abbiamo più ma che è appartenuto a noi ― apparteneva a uno dei Sette dell’Orsa Maggiore, il corpo di incursori italiani. È stato al polso di uno di loro perfino durante la guerra.
Questi qui facevano cose da 007: una volta il suo proprietario ci ha raccontato di aver raggiunto con i suoi compagni la spiaggia in muta da sub dopo aver affondato alcune navi inglesi, di aver indossato lo smoking e di aver raggiunto una limousine che li aspettava nascosta tra i cespugli. Così, vestiti a festa e in compagnia di alcune prostitute, hanno passato un posto di blocco senza problemi.
Poi c’è l’orologio di Marcello Mastroianni. Non è stato un orologio di gran pregio, ma certo ha accompagnato un personaggio di grande stile.
Infine c’è la storia di Gino “Ginobi” Balbi, “il professore” ― un ingegnere con una conoscenza infinita che, ormai da anni, collabora con noi a titolo gratuito ― che ha zittito la Nasa: sul loro sito c’è una sezione dedicata agli orologi che sono stati nello spazio. Gino, dopo averli osservati, ha scritto loro, a proposito del modello Speedmaster della Omega, ‘questo orologio non è mai stato sulla Luna’. Aveva ragione davvero, la Nasa lo ha pure ringraziato.
E quello più strano?
Abbiamo anche molti camouflage: sembrano orologi ma, in realtà, sono microfoni. Non si possono spostare le lancette. In uno di questi c’è ancora una registrazione, che non abbiamo mai ascoltato. Chissà cosa c’è dentro.
Cosa vedi nel futuro di questo mestiere?
Lascerò l’attività a mio figlio. Sono davvero contento di poter vedere quest’attività portata avanti da lui. Darò una mano fino a quando potrò, anche perché non credo di riuscire a staccarmi tanto facilmente da questo mondo.
Il mio sogno sarebbe veder portare avanti la tradizione ― il senso ― di questo negozio, pieno di gente e di casino; un posto in cui passare anche per un caffè o una sigaretta. A volte la confusione mi fa dà sui nervi ma è questo il suo mood: un salotto per amici.