La sua collezione è la più completa al mondo tanto che nel 2002 lo hanno messo nel libro dei Guinness World Record. Anche se le cose stanno cambiando, “sono centosessant’anni che la benzina fa girare il mondo” ci dice Guido Fisogni, il proprietario del Museo Fisogni, la più completa raccolta di distributori di benzina al mondo.
Noi siamo andati a incontrarlo su un tavolo disegnato con una vetrina in mezzo per mettere, al suo interno, dei vecchi giocattoli in lamiera delle varie Case dei distributori. Per quale motivo? Servivano per distrarre i partecipanti dalle continue discussioni.
Ciao Guido, che storia c’è dietro questo museo?
Dopo il servizio militare, nel 1961 ho messo in piedi un’impresa edile specializzandomi nel fare solo stazioni di servizio in Europa. A quel tempo, gli altri buttavano via tutto, invece io mi sono messo a tenere da parte un pezzo per tipo, andando a prelevarli col camion. Quelli più vecchi erano dei veri rottami. Noi li abbiamo restaurati coi loro colori originali.
Che oggetti ci sono qui?
Cinque mila pezzi tra distributori di benzina, cartelli, targhe e gadget. E poi c’è un archivio cartaceo con i disegni originali dei primi del ‘900, che mi sono serviti per revisionare tutti i vecchi distributori. Ci sono principalmente pezzi dall’Italia, Francia, Inghilterra e Cecoslovacchia.
A Parigi, per esempio, nei punti di strada con il marciapiede, i distributori venivano messi contro il muro con sotto un cisternino. All’inizio del ‘900, poi, la benzina si vendeva anche per strada.
Se volessi dirci di solo un distributore di benzina?
Storicamente direi quello di Mussolini. L’ho recuperato a Trieste ― era conciatissimo ―, è stato disegnato da Marcello Piacentini, l’architetto del regime, ed era stato mandato a un’ambasciata. È in tipico stile littorio con una sagoma sopra che ricorda il braccio del saluto romano.
Una delle particolarità è che la scritta che vedi davanti “Benzina Pura” era stata messa lì per differenziarla dalla benzina mista. All’epoca si usava anche quella con l’alcol delle barbabietole che costava meno. L’idea era nata per favorire l’agricoltura delle barbabietole.
Un’altra cosa è che, nel periodo fascista, la benzina super veniva chiamata “Littoria” (per citare l’omonima città del Lazio inaugurata nel 1932) mentre quella normale era la “Victoria”, che nel 1926 costava una lira e venti centesimi.
Chi ha restaurato tutti questi esemplari?
Per circa quarant’anni, un impiegato della ditta si è occupato solo del restauro dei rottami che portavo a casa. Sono tutti stati dipinti a mano.
Raccontami dello spazio dov’è il museo.
Quattro anni fa il museo era a Palazzolo, dove avevo la ditta, in uno spazio di mille metri. Dove ci troviamo oggi era la cascina di mia suocera, abbandonata da trent’anni, dov’era crollato tutto. Mi chiedo spesso come mai solo io abbia avuto l’idea di raccogliere tutti questi pezzi. All’epoca di imprese ce n’erano tante, ma gli altri buttavano via tutto.
Qualche distributore è mai uscito da queste porte?
Sì, qualcosa è stato affittato per fare dei film alla Rai ― come quello su Fausto Coppi o pubblicità. Non so se vi ricordate di quello della TIM con Naomi Campbell.
Il distributore più vecchio che hai trovato?
Risale al 1892 ed è messo in una nicchia all’ingresso del museo. L’ho trovato a Berna, in Svizzera in un’officina abbandonata. In quegli anni, si usava un contenitore di soli venti litri e un misurino di fianco che, col principio dei vasi comunicanti, segnava quelli che uscivano dal distributore.
Per i più tecnici: come sono cambiati i distributori?
Prima erano tutti manuali, segnavano di cinque in cinque litri, e la pompa era uguale a quella che dei pozzi dell’acqua. Poi nel 1935 sono partite quelle elettriche, e negli anni ’80 quelle elettroniche, fino ad arrivare alle più moderne che segnano anche il mezzo litro.
Là fuori vedo che c’è un oggetto unico. Di che si tratta?
È un autolavaggio. All’epoca non avevano ancora inventato gli spazzoloni: ci sono delle ventole che girano con la pressione dell’acqua. Pensa che il gestore doveva fregare tutto a mano. Una cosa importante è la sua sagoma perché, da lì, si può vedere come le macchine siano tutte state molto piccole e basse. Per intenderci, un SUV non ci passerebbe mai.
Mi piacerebbe che ci lasciassimo con una chicca.
I primi benzinai in Italia furono i farmacisti: vendevano il petrolio in alcuni flacconcini come rimedio contro i pidocchi. Così la benzina entrava nella licenza; un po’ come i droghieri che vendevano il petrolio per le lampade da illuminazione. I farmacisti riportavano già dalla strada le insegne con su scritto: “Benzina”. Si cercava di usarla per altre cose anche perché alla fine del 1800 in giro c’erano solo una cinquantina di macchine.