Lo standard non esiste. Perché replicare un lavoro fatto interamente a mano e frutto della creatività del momento sarebbe, in realtà, del tutto ingiusto. Luca Agnelli fonda Agnelli Milano Bici nel 2015 ad Abbiategrasso, un paesino poco fuori Milano. Lì nella sua piccola officina crea biciclette molto speciali ― hanno su dei serbatoi dagli anni ’50. Tutto è rigorosamente made in Italy. Siamo andati a incontrarlo per farci raccontare quello che c’è dietro le sue bici, in 60 Minuti.
Ciao Luca, stiamo parlando di bici o moto?
Sono biciclette elettriche, ovvero bici a pedalata assistita. Vanno a ricordare quel periodo storico tutto italiano dove queste bellezze erano d’uso e costume quotidiano. Non so se vi ricordate dell’Aquilotto Bianchi, Guzzino 65, Cucciolo Ducati e Ciao Piaggio, l’ultimo di quel tipo. Avevano una funzione straordinaria: poco più di biciclette ma, ad aiutare la pedalata, c’era un motore a scoppio.
Com’è nata l’idea?
Da appassionato della mobilità elettrica è nata la voglia di mettermi a sperimentare con ciò che avevo sotto mano. Sono partito da una mia vecchia mountain bike arrugginita di trent’anni fa e un serbatoio di un ciclomotore degli anni ‘50. È un matrimonio tra il serbatoio e il telaio stesso. La fantasia, poi, ha fatto il resto.
Raccontaci qualcosa del tuo processo creativo.
Tutto quello che so fare è provare a immaginare quel che ne sarà una volta finita la bicicletta. Non parto mai da un progetto o una bozza su carta. Vado a sensazione. Una volta concluso il lavoro, però, rimango quasi sempre stupito perché non è mai possibile conoscere il futuro. Dove riuscirà a portarti la tua mano? Ogni testa è un piccolo mondo.
Come prendono forma le biciclette?
La soluzione per me è lavorare con i telai in acciaio perché è un materiale più versatile sotto il profilo della lavorazione. I miei modelli hanno tutti una linea diversa ma la forma predominante dei telai è quella degli anni ‘80-’90.
Scelgo il tipo di telaio e gli abbino il serbatoio. Poi aggiungo i supporti per il parafango posteriore e i freni a disco. Lo standard non esiste: ogni bicicletta ha il proprio telaio e conformazione; e poi c’è sempre contare il proprio gusto personale.
Anche il colore è quello di una volta?
Lo studio sul colore è molto importante. La verniciatura è sempre lo specchio di ciò che è sotto. E per fa sì che la superficie fosse la più rispettata possibile, i telai sono prima sverniciati e poi verniciati a polvere ― un’azione molto delicata. Per i serbatoi, invece, è meglio usare la vernice a liquido. Rendere simili i due materiali è una delle sfide più grandi.
Sono tutte nominate con un numero di serie. Perché?
Sono i numeri di identificazione che attribuisco a ogni nuova bici, e corrispondono alla bicicletta numero “x” del mese “y” dell’anno in corso. Per esempio, 01012017 è la prima del mese di gennaio, e così via. Non avendo un catalogo di bici da replicare ogni stagione, le ricordo con i loro numeri.
Cosa dicono le persone quando le scoprono per la prima volta?
‘Solo un italiano poteva arrivare a costruire una cosa di questo tipo’ è il tipo di complimento che mi sento dire di più. Siamo entrambi di parte ma non credi che in fondo sia un po’ vero?
Cosa c’è nei tuoi pensieri per il futuro?
La mia missione è portare un’eccellenza della manifattura italiana all’estero. E la sfida è andare avanti. Al momento sto lavorando sui sidecar ― ho tra le mani un modello particolare che però non posso ancora svelare ― perché è una tendenza che alla bicicletta non hanno mai attribuito. Con le mie bici spero di suscitare qualcosa nelle persone: vorrei farle pensare.