Per anni di lui si è detto: “è un attore raffinato”. Ed è vero: Vittorio Gassman è stato uno degli istrioni più eleganti che siano mai apparsi sulla faccia della Terra. Limitarsi a questo, tuttavia, sarebbe riduttivo: lo spessore di un interprete si misura non solo dal talento, ma dalla sua grandezza nel rispondere alle urgenze della contemporaneità.
Gassman, in questo, è stato insuperabile. La tensione febbrile, l’energia e il carisma che caratterizzano la sua recitazione riflettono gli smottamenti politici, sociali e culturali che l’Italia affronta a partire dal secondo Dopoguerra. È per questo che diventa la maschera perfetta per esprimere la nevrosi cangiante di un paese in piena trasformazione.
Lo si intuisce dalla sua apparizione in ‘Riso Amaro’ (1949) di Giuseppe De Santis: Walter è uno dei primi stupratori del cinema italiano, un manipolatore di bassa lega che Gassman fa svettare nella dimensione della mediocrità.
Negli anni a venire l’attore indossa come un guanto le contraddizioni del paese. Basti ricordare ‘I soliti ignoti’ (1958) di Mario Monicelli: Gassman abbandona ogni glamour e si consegna alla leggenda interpretando il pugile Peppe, balbuziente, nevrastenico, sudaticcio.
Ed è con Monicelli che offre alcune delle sue prove più significative: su tutte, ‘L’armata Brancaleone’ (1966) e ‘La grande guerra’ (1959). Grazie a Dino Risi riesce a diversificare: dal cialtronissimo Cortona de ‘Il Sorpasso’ (1962), paradigma amaro di un’Italia da boom che sfreccia a bordo di una Lancia Aurelia, a operazioni meno ricordate ma eccezionali come ‘Anima persa’ (1977).
“Recitare non è molto diverso da una malattia mentale: un attore non fa altro che ripartire la propria persona con altre. È una specie di schizofrenia”.
Gassman appare credibile e al contempo assolutamente erotico; e poi, ancora con Risi, c’è Profumo di donna. Una delle sue prove più vibranti e intime: nei panni di un capitano cieco, Gassman racconta la disperazione dei dimenticati in un modo che pochi sono riusciti a replicare con altrettanta forza.
Oggi, a 17 anni dalla sua morte, si sente ancora il bisogno di affidare le storie di questo Paese a un mattatore di tale levatura. L’assenza fisica, tuttavia, non impedisce al ricordo di viaggiare: e di scoprire quanto, a distanza di decenni, Vittorio Gassman sia stata una maschera di impressionante, continuativa attualità. Un volto che non si dimentica.