L’architettura che vivi è o al piano terra della città o negli interni. Il giovane architetto Luca Campo Reale fonda il suo Lcr Studio qui, a Milano, nella città dov’è nato. Noi l’abbiamo incontrato per chiedergli perché (ri)partire dai propri spazi e di come moda e architettura possano, in realtà, essere raccontati insieme.
Ciao Luca, come sei arrivato ad aprire il tuo studio?
Dopo la laurea in Architettura al Politecnico di Milano di un paio di anni fa, parto per Vancouver in Canada. Perché dentro di me ho sentito che mi mancava qualcosa prima di poter fare il grande passo e mettermi in proprio. Lì lavoro in uno studio di architettura ― esperienza fondamentale ― e capisco che la mia casa è Milano; ed è proprio dove sono nato che voglio iniziare la mia carriera.
Nel suo ultimo libro Raffaella Silvestri scrive che Milano è ‘il luogo zero, il luogo da cui è indispensabile partire ma a cui non si può fare a meno di tornare’.
E infatti torno a Milano a lavorare in uno studio dove, per una serie di circostanze, si era liberato un posto da architetto. A settembre 2016 apro con un amico Lcr Studio, il nostro spazio, la nostra palestra per provare a fare realmente il nostro mestiere. Il primo lavoro che entra è la ristrutturazione di un bel hotel in zona Brera, un edificio disegnato dal famoso architetto milanese Mario Bellini.
Che cos’ha Milano che la rende così speciale?
Milano per me è cruciale perché ha delle componenti che fanno parte della mia vita: architettura, design e moda. Girare per la città, poi, mi aiuta a sviluppare la creatività che metto nel lavoro. Credo che qui si noti la non ostentazione: Milano la devi scoprire pian piano. Che poi è il suo vero lusso.
Raccontami la tua giornata tipo da architetto.
Mi sveglio presto e bevo un tè verde caldo, limone senza zucchero. La vera colazione però la faccio qui dietro al Posta alle nove meno un quarto mentre sfoglio un magazine. Vengo in studio e comincio a leggere le prime email per poi capire cosa c’è da fare nella giornata ― da andare direttamente sui cantieri a sviluppare un progetto in studio.
Cosa ti piace di più del tuo lavoro?
Come forse direbbe uno chef riguardo ai propri piatti, la mia specialità è la ristrutturazione d’interni. L’architettura che vivi è o al piano terra della città o negli interni.
Cosa vuole dire fare made in Italy?
Puntare sulla qualità e fare uno studio dietro a ogni singolo prodotto. Dai piatti in ceramica di Gio Ponti alla libreria di Franco Albini, c’è una vera ricerca al minimo dettaglio.
Parliamo di stile. Come scegli gli abbinamenti?
Sono sempre condizionato dal mezzo con cui vengo al lavoro ― che sia la mia Triumph Scrambler o la mia Pininfarina Cabriolet 1500 blu. Mi definisco vintage, ma aggiungo sempre un accessorio o un capo che siano allo stesso tempo fine e moderno. Di solito metto un pantalone elegante e do libertà sopra: una giacca abbinata alla t-shirt bianca, per esempio. Amo la doppia pences sul pantalone, e i jeans per i giri in moto.
Influenzare il lavoro con la moda (e viceversa). Lo vedi come il futuro?
Credo ci sia sempre stato, se penso al grande Gianfranco Ferrè. Oggi come allora, questi due mondi si contaminano a vicenda. Fanno parte del mio modo d’essere, e comunicare al meglio entrambi sui social è ormai diventato fondamentale. L’idea del nostro studio è creare un brand legato al mestiere dell’architetto. E questo credo sarà un trend che vedremo molto nei prossimi anni.