La Milano degli anni ‘80 se la ricordano tutti. Siamo nel 1979 e, dall’altra parte dell’Oceano, la cultura degli States sta per contaminare i milanesi per sempre. La televisione della Mediaset, le giacche a piumino Moncler e le scarpe della Timberland stanno per diventare parte di noi.
I giovani della “Milano bene” cominciano a ritrovarsi in centro, in Piazza San Babila, per mangiare junk food (letteralmente: cibo spazzatura) e bere la Coca Cola con la cannuccia. Milano si sta pian piano americanizzando: è iniziata la moda dei Paninari.
Però, in questo scenario, c’è chi i panini li fa in un modo diverso, rispettando tradizione e ingredienti italiani, e distaccandosi da quell’idea di “panini veloci alla Burghy”. Nel febbraio 1979 apre in Corso Garibaldi a Milano (in piena zona Brera) il primo Panino Giusto. L’arte del saper fare bene il panino ha, dunque, un inizio.
“Immersi nel pieno della Milano ‘da bere’ ci si va soprattutto in pausa pranzo, al posto della trattoria o del bar dietro l’angolo”.
Il Panino Giusto diventa il punto di riferimento per quei milanesi che alla qualità ci guardano molto. Da lì, inizia l’espansione con nuovi ristoranti nelle zone più frequentate di Milano, fino ad arrivare, con la nuova gestione del marchio nel 2010 per mano di Antonio Civita ed Elena Riva, allo sbarco all’estero ― su tutti, Cupertino nel cuore della Silicon Valley (California) nel 2016.
Da sempre, il pane arriva fresco ogni mattina. Partiti con l’idea della francesina, dopo quasi quarant’anni di attività, ora quasi tutti i panini si fanno con la ciabattina ― sempre artigianalmente e sempre a Milano. E dentro? Siamo andati a farci due chiacchiere per ripercorrere la storia del Panino Giusto lungo i 5 panini più importanti.
‘Giusto’ è il primo con il cotto di Praga (1979)
Dal primo giorno di apertura è sempre lì, in ogni ristampa di menù. Negli anni ‘80 a Milano, il brand era conosciuto soprattutto grazie a lui. La scelta è vincente: prosciutto cotto di Praga, mozzarella, pomodoro, acciuga e senape delicata. Siamo partiti bene.
‘Savoy’ spopola per la rucola (1979)
Stiamo col Praga, e aggiungiamoci un’erba che va matta negli anni ‘80: la rucola. Nel nome c’è il periodo in cui l’Italia, così come la conosciamo ora, neanche si era formata. Le radici sono forti: prosciutto cotto di Praga, mozzarella, pomodoro, rucola e olio extravergine d’oliva.
Nel ‘Tartufo’, il crudo del posto dov’è nato (1988)
Rimaniamo sul prosciutto ma cambiamo genere. Il crudo viene stagionato 26 mesi a Langhirano (provincia di Parma), lì, dov’è nato. E, come il nome fa immaginare, per fare un grande panino ci vuole l’ingrediente speciale: prosciutto crudo, formaggella fresca di bufala, pomodoro, rucola, ed ecco l’olio tartufato d’Alba. Ancora oggi è quello più richiesto.
Rivoluzione: ‘Tra i due’ si fa col pane tondo (2014)
Dopo tre panini “della vecchia guardia”, il nuovo chef Claudio Sadler entra in cucina e pensa a come lasciare il segno. Il nome arriva dai Futuristi e di come amavano parlare del panino: tutto quello che può stare tra due fette di pane. Il panino è tondo e fatto con: farina di grano arso, bresaola della Valtellina, stracciatella di burrata pugliese, crema di olive taggiasche e fiori di zucca.
’Pantelleria’ è la novità del dopo le diciotto (2017)
È l’ultimo arrivato dei nuovi panini regionali, pensati per portare la tradizione locale al livello successivo. Il pane ― fatto da farine bio e lievito madre ― pesa 100 grammi (al posto dei classici 70). Dentro: pomodorini al forno, pomodoro datterino, mozzarella fiordilatte, filetti di acciughe, foglie di cappero, origano e patè di capperi di Pantelleria, olive siciliane, basilico fresco e rucola.
Ma la vera particolarità sta nell’orario: lo puoi ordinare solo dopo le sei di sera. Giusto per l’aperitivo. In redazione un panino preferito ce l’abbiamo già ― ognuno ne ha uno. E il tuo?