Con Nuovo Cinema Paradiso Giuseppe Tornatore offre un ottimo spunto di riflessione e analisi della relazione che il cinema nazionale moderno ha instaurato con l’eredità classica italiana del secondo dopoguerra.
Dopo che il film si aggiudicò nel 1989 il premio Oscar come miglior film straniero, la critica coniò il termine dispregiativo Tornatores, in riferimento alla coppia di registi Tornatore e Gabriele Salvatores (altro esponente del cinema nazionale moderno e premiato con l’Academy per il film ‘Mediterraneo’ ― di cui vi abbiamo scritto) accusandoli di venire meno allo scopo sociale ed etico che aveva caratterizzato il cinema neorealista e di essere dunque responsabili della rottura con la grande tradizione classica italiana.
Il film di Tornatore incarna un certo tipo di responsabilità morale che si discosta dall’impegno neorealista ma che tuttavia offre una testimonianza della collettività nazionale e dell’evoluzione del cinema italiano. I titoli di testa anticipano la struttura del film:
“L’inquadratura iniziale mostra l’immenso e limpido mare siciliano e una lenta carrellata all’indietro rivela l’interno di un appartamento e una madre al telefono che cerca suo figlio”.
Dunque, una narrazione intima e individuale racconterà una storia che non si limita a quella della famiglia protagonista ma che sarà la storia della Sicilia dai prima anni ‘50 in poi.
Il punto di vista è quello del giovane Salvatore ed è attraverso il filtro dei suoi occhi e dello schermo del ‘Cinema Paradiso’ che il regista offre il suo commento sulla Sicilia dell’epoca, fortemente regolamentata e limitata dall’invadente potere ecclesiastico che, nel nostro specifico caso, censura le scene dei film che il parroco di Giancaldo reputa “pornografiche”.
“E poi, l’omaggio che ‘Nuovo Cinema Paradiso’ rende alla tradizione letteraria italiana rappresenta una ulteriore dimostrazione dell’attenzione e del rispetto del regista nei confronti della generazione precedente”.
Il paesino di Giancaldo, presentato con morbidi e precisi movimenti di macchina da presa, pare la trasposizione cinematografica di alcune delle pagine dei racconti di Leonardo Sciascia, Gli zii di Sicilia in particolar modo, in cui l’autore siculo descrive minuziosamente l’atmosfera della Sicilia del secondo dopoguerra.
La stessa descrizione del cinema in La zia d’America come unico luogo di svago e intrattenimento, compreso di sputi dalla platea e di mormorii durante le scene d’amore, ricorda il ‘Cinema Paradiso’ di Tornatore.
Notevole anche la ricerca di Tornatore nel rappresentare con la maggiore fedeltà storica possibile lo stile e l’abbigliamento dei protagonisti.
“In Sicilia gli abiti tradizionali erano piuttosto semplici, soprattutto quelli della classe medio-bassa, dei contadini, allevatori e delle donne di casa”.
Nel film Maria, la madre di Salvatore, indossa la classica fadedda, una gonna di lino o cotone lunga fino ai piedi abbinata ad una sottoveste e ad una camicia che veniva chiamata jippuni.
Alfredo invece, pur non essendo un contadino, indossa i tipici abiti da lavoro caratteristici della classe più povera. I causi, pantaloni in velluto stretti, non troppo lunghi e con l’apertura ai lati, venivano legati in vita con una cintura in tessuto.
“Una camicia di lino, un panciotto o gilet in velluto foderato con numerose tasche che venivano utilizzate per gli strumenti da lavoro completano il comodo e pratico outfit da lavoro”.
Nella maggior parte delle scene, Alfredo indossa anche un berretto in panno marrone che, secondo l’usanza del tempo, si distingueva da quello azzurro che veniva invece indossato dai marinai. In entrambi i casi, sia per gli uomini che per le donne, gli abiti erano pensati in un’ottica di comodità e praticità.
Un film paesaggistico, dunque, che rievoca un preciso contesto storico ma anche cinematografico.
Tra i film che Alfredo proietta ci sono Poveri ma Belli, Umberto D., Riso Amaro ma anche Via col Vento, Casablanca e Ombre Rosse solo per citarne alcuni. Ma ha senso cercare nel cinema di oggi i paesaggi di ieri?
L’Italia e gli italiani hanno attraversato a partire dal secondo dopoguerra un processo di cambiamento e pertanto anche il cinema, inteso come mezzo di comprensione e riflessione della e sulla realtà, si evolve in linea con la cultura nazionale.
Ciononostante, ogni epoca non è un frammento indipendente di storia ma una diretta conseguenza del passato e così anche il cinema instaura una relazione di causa-effetto con le correnti precedenti.
L’Italia del secondo dopoguerra, quella del cinema neorealista e dei grandi autori come De Sica, Rossellini e Visconti (di cui vi abbiamo raccontato), era un’Italia che urlava all’unisono per una rinascita contro gli orrori della guerra.
Poi ci fu l’Italia della società dei consumi, quella del boom economico e della commedia all’italiana di Monicelli, Risi (‘Sapore di mare’ è da leggere) e Comencini che già raccontava una disillusione che era regionale e non più nazionale.
Divorzio all’italiana, I Soliti Ignoti, Amici Miei e ‘Il sorpasso’ (lo trovi su A Million Steps) sono film molto diversi che raccontano diverse sfumature d’Italia, un’Italia che rincorreva un immaginario americano che non le apparteneva ma che diventò, anche a causa del mezzo televisivo, il punto di riferimento e modello dei nuovi autori.
“Sciascia aveva già capito come l’Italia del dopoguerra si stesse frammentando in un modello di ispirazione americana”.
I racconti de ‘Gli zii di Sicilia’ riflettono proprio sull’influenza straniera nelle vite degli italiani, o meglio, dei siciliani. Sì, perché una volta concluso il Neorealismo non è più possibile raccontare una storia per raccontarle tutte.
Anche lo stile di Tornatore, particolarmente manifesto in ‘Nuovo Cinema Paradiso’, è proprio il risultato della combinazione tra fattualità e intimità, determinato dall’indagine storica di una realtà passata, quella dell’infanzia del regista, tramite una narrazione nostalgica, personale e che riflette attraverso lo sguardo del suo protagonista.
Nonostante il filtro fanciullesco che smorza e sfuma il tono del film imponendo un’atmsofera quasi fiabesca, ‘Nuovo Cinema Paradiso’ può essere considerato prodotto e testimonianza del cambiamento, un cinema paesaggistico dell’Italia di oggi, il cui impegno civico e morale racconta l’evoluzione del Paese nella sua regionalità da un lato, e nel suo confronto col modello americano dall’altro.