“Tutto molto bello”. Se esclami questa frase non puoi che riferirti alla leggenda, al telecronista per eccellenza, a chi per oltre trent’anni ha narrato con garbo e signorilità le vicende della nazionale di calcio da dietro un microfono, diventando una vera e propria icona.
Stiamo parlando della leggenda Bruno Pizzul, giornalista sportivo di straordinaria competenza e professionalità. Con Bruno sono cresciute generazioni di giovani, con i loro sogni e i loro desideri. Quella di Pizzul non era una semplice telecronaca, era molto di più.
“Il Rose Bowl presenta oggi un magnifico colpo d’occhio. In prevalenza i tifosi brasiliani: macchie gialle che richiamano alla memoria e alla fantasia le ginestre della nostra Italia”, dice Pizzul prima del fischio d’inizio di Italia-Brasile, nella finale dei Mondiali 1994.
La sua voce, meravigliosa, ti trasportava realmente sul terreno di gioco: era in grado di farti vivere letteralmente tutti e novanta i minuti. Non si limitava a commentare la sfida, la raccontava, che è cosa ben diversa. Con i giocatori ci parlava, quasi fossero in grado di sentirlo anche loro.
“Dino, Roberto. Di nuovo Dino, bravo”, diceva tutte le volte in cui Dino e Roberto Baggio giocavano insieme in Nazionale.
Ma il pubblico si esaltava, e sognava, quando Bruno narrava le gesta del numero 10 azzurro: sulla maglia sei lettere, sopra il nome un codino.
Pizzul-Baggio, un binomio che ha fatto la storia.
“Allora Zambrotta, Montella, oh così va bene, Paolo, mettila giù”, in relazione a uno stop di Maldini.
Le tre fatidiche parole “Campioni del Mondo” Bruno Pizzul non riuscì mai a pronunciarle perché nel ‘90 la lotteria dagli undici metri stoppò i sogni di un’intera nazione, stessa sorte anche nel ’94, come nel ’98 quando una traversa di Di Biagio, sempre dal dischetto, pose fine al cammino in Francia della spedizione di Cesare Maldini.
E quattro anni dopo un sudcoreano (e un arbitro ecuadoriano) ci cacciarono via con un golden gol dalla manifestazione, al termine di un vespaio di polemiche.
In Corea e Giappone gli ultimi mondiali commentati per la Rai da Bruno Pizzul, che uscirà quindi di scena senza mai aver commentato un successo azzurro.
Ma a Pasadena, nel 1994, l’unica finale mondiale commentata da Bruno (commentò anche la finale di Euro 2000, persa al golden gol di Trezeguet), avremmo tutti voluto vedere Franco Baresi alzare la coppa Rimet: anche per dare il giusto merito a quel cantastorie che durante l’estate ci aveva fatto innamorare degli undici di Arrigo Sacchi.
“Abbiamo ancora una tenue speranza, Roberto batterà il nostro ultimo tiro dal dischetto: se segnerà, ci sarà la speranza che i brasiliani sbaglino il loro tiro dagli undici metri. Roberto Baggio contro Pagliuca, contro, scusate, Taffarel. Ecco Roberto: alto!”, commenta al nella finale dei Mondiali di USA ‘94.
Quella del giornalista friulano resta la Vera voce del calcio italiano. Una voce nostalgica, una voce inconfondibilmente pastosa con una sintassi perfetta e dal lessico assai preciso. Una voce unica, che riusciva a far parlare le immagini, al contrario di quello che spesso accade oggi.
Le telecronache di Pizzul erano pura magia, un misto di malinconia ed esaltazione. Indimenticabili le notti magiche di Italia ‘90, con i gol del “picciotto palermitano” Totò Schillaci:
“Arriva il cross dentro, e c’è il gol, gol di Totò!”, a Italia-Austria durante i Mondiali d’Italia ‘90.
Erano le sere in cui tutti, ma proprio tutti, si riunivano davanti alla tv, riversando nel calcio le speranze di una vita, nel tentativo di smaltire ogni tipo di delusione appresso ad un pallone che rotolava per novanta minuti.
Ed era proprio Bruno la voce degli italiani: da ogni finestra del Belpaese, nelle calde notti italiane, si poteva nitidamente sentire uscir fuori il racconto del giornalista friulano.
Pizzul iniziò a giocare a calcio da giovanissimo, al rettangolo verde offrì un fisico immenso e un’intelligenza raffinata per il gioco. Arrivò persino in serie B con il Catania, poi il ginocchio si ruppe e tanti saluti alla carriera.
Si dedicò allora allo studio della giurisprudenza, poi all’insegnamento di materie letterarie nelle scuole medie. Quindi il concorso in RAI e la sua prima radiocronaca l’8 aprile 1970, Juventus-Bologna, spareggio di Coppa Italia sul campo neutro di Como, dove arrivò incredibilmente con un quarto d’ora di ritardo.
Pizzul apprende il modo di raccontare il calcio alla scuola di corso Sempione (la sede milanese di “Mamma RAI”) affiancandosi a Nando Martellini, poi lo sostituisce durante il Campionato del mondo di Messico 1986.
Da allora iniziò la sua scuola, quella che si inseriva nella tradizione della TV di stato ma che, come detto dal collega Bruno Gentili, brillava per semplicità, chiarezza ed essenzialità, che altro non sono i principi base dell’oratoria, ai quali però univa il garbo e quel tono di voce inconfondibile.
Pizzul è riuscito ad adattarsi alle evoluzioni del calcio, degli schemi, delle tattiche: in tutti i casi non ha mai smesso di raccontare il mondo del pallone.
A ottant’anni continua a parlare di calcio, sempre con entusiasmo ed estrema precisione, tra una briscola ed un bicchiere di vino, rigorosamente friulano.