Da mezzo secolo il loro nome è sinonimo di cultura sconfinata e di modi impeccabili. Quasi quaranta trasmissioni TV e cinquanta libri in totale, sommando le fatiche di padre e figlio, che spaziano dai dinosauri agli occhi della Gioconda, dagli squali ai Bronzi di Riace. Piero e Alberto Angela sono la famiglia reale della divulgazione scientifica, una dinastia di ambasciatori della cultura italiana.
Colti senza essere saccenti, pacati senza essere noiosi, da cinquant’anni sono i vicini di casa che tutti vorrebbero: affabili e pieni di storie da raccontare. Divulgatori scientifici e idoli pop amatissimi dal pubblico. L’ultima missione: far scoprire a tutti le bellezze, anzi, le Meraviglie, d’Italia.
Se fossimo stati a Torino negli anni ’50, in qualche locale jazz avremmo potuto sentir suonare il ventenne Peter Angel. Proprio il jazz lo ha portato in Rai, come collaboratore in un programma musicale. Lì Peter Angel, al secolo Piero Angela, ha costruito una lunga carriera, da cronista a conduttore del Tg2. Ma mentre seguiva le missioni spaziali a Houston, viene folgorato dalla scienza:
“Avevo capito che quello che veramente mi interessava fare era occuparmi non di dieci notizie al giorno, ma di una notizia per un anno”.
Nel 1981, il pubblico ascolta per la prima volta l’Aria sulla Quarta Corda di Bach, l’inconfondibile sigla di Quark, poi raddoppiato in Superquark.
Con un’eleganza tutta torinese, Piero Angela si presenta sempre in giacca e cravatta (rossa, spesso e volentieri), pantaloni con le bretelle, calze chiare e mocassini.
Un impeccabile stile anglosassone anche nel modo di parlare, spiegando fenomeni complessi con parole semplici. Voleva far appassionare il pubblico, alimentare il fuoco della curiosità che per lui non si è mai spento: 8 lauree ad honorem e ancora studia, lavora, scrive. A mano, sempre.
Eppure, a scuola si annoiava terribilmente: l’intellettuale di famiglia, ha spesso ricordato, è il figlio Alberto. Quando aveva solo pochi mesi il padre lo mise davanti al televisore ― erano le prime trasmissioni in mondovisione ― e gli disse:
“Ecco, questa è la nuova era che vedrai tu”.
Trent’anni fa Alberto Angela ha iniziato il sodalizio con la Rai, con l’umiltà di chi deve dimostrare di non essere solo “figlio di”.
Chiama ancora il padre per nome quando è al lavoro, ma gli ascolti straordinari bastano ad allontanare ogni sospetto di nepotismo. I programmi della scuderia Angela piacciono un po’ a tutti, dalla casalinga al liceale, perché sono un’oasi accogliente in una televisione urlata e sgarrupata.
Spiegata da loro, anche l’astrofisica sembra un gioco da ragazzi. Nella tv dei reality-show, gli Angela sono la rivincita della cortesia e delle buone maniere. In un clima di generale diffidenza verso gli intellettuali, hanno condiviso con il pubblico i segreti della storia, dell’arte, dell’architettura.
Ma Alberto Angela è riuscito in un’impresa ancora più grande: ricordare quanto è bella l’Italia a un Paese assuefatto all’arte che lo circonda. Immuni alla sindrome di Stendhal, spesso ci scordiamo del patrimonio su cui camminiamo. Gli Angela lo ricordano con genuina passione, senza luoghi comuni o slanci melensi.
“Ci sono cose che non devono rimanere chiuse ― aveva detto al Salone del libro di Torino, presentando il suo libro sulla basilica di S.Pietro ― occorre raccontarle”.
Non si è tirato indietro nemmeno davanti a una pagina dolorosa come quella delle leggi razziali. Il nonno Carlo (padre di Piero) è un giusto tra le nazioni.
Gli Angela possono vantare un asteroide e un mollusco marino con il loro nome, nonché un cartoon: Piero è diventato un personaggio a fumetti di Topolino, Alberto ha prestato la voce al film Minions.
I social li amano: parodie, meme, valanghe di tweet di fan ― le Angelers ― che vorrebbero avere Alberto come professore, o invitarlo a cena. O entrambe le cose. Il padre, che ha appena festeggiato i 90 anni, è circonfuso da un’aura di sacralità, ma il figlio è riuscito di diventare sex-symbol suo malgrado. Ah, l’effetto dell’opus reticulatum.
Il paleontologo ha innegabilmente l’avvenenza dalla sua, ma ha soprattutto l’eloquenza e una cultura sterminata. A 57 anni mantiene ancora il fascino del bravo ragazzo, un po’ nerd, con un look sobrio e pratico fatto di giacche e camicie allacciate fino al penultimo bottone.
Se non indossa un completo ― rigorosamente blu ― si rilassa in dolcevita, jeans a vita alta, vagamente anni ’90, e scarpe di camoscio. E ovviamente le field jacket multitasche, verde militare o cachi, da vero esploratore.
La dinastia degli Angela si affaccia già alla quarta generazione: Alberto ha tre figli maschi. Uno, Edoardo, ha già avuto un quarto d’ora di celebrità non richiesta, quando il suo profilo Instagram è stato setacciato dalla stampa esaltata dalla scoperta del delfino di famiglia. Chissà che prima o poi non intitoleranno un corpo celeste o una conchiglia anche a lui.