L’architetto Massimiliano Locatelli ha dedicato la sua vita ai valori della qualità, della creatività, dell’amore per l’arte. Dalla metà degli anni ‘90, guida Locatelli Partners. Con il suo team ha realizzato interventi in luoghi storici di Milano, come nell’antica chiesa di San Paolo Converso, in piazza Sant’Eufemia, ha creato realtà innovative come un’abitazione realizzata con una stampante 3d, ha esportato il gusto italiano in ogni angolo del mondo, da New York al Vietnam, da Parigi a Mumbai.
Lo incontro nel suo ufficio in via Corridoni. Lo spazio è invaso di luce naturale. Le opere d’arte alle pareti risaltano tra i collaboratori che picchiettano sui computer. Alla mia prima domanda risponde senza esitazioni: «Villa Necchi Campiglio, costruita su progetto dell’architetto Piero Portaluppi: è questo il luogo che va messo al primo posto».
1. Villa Necchi Campiglio, via Mozart 14, Milano
Qui si trova la dimora realizzata tra il 1932 e il 1935 dai coniugi Necchi Campiglio, esponenti dell’alta borghesia milanese, industriali colti e illuminati. «Balla, Boccioni, De Pisis, Carrà, Morandi, Sironi: i loro dipinti si possono ammirare ancora oggi nell’abitazione divenuta dimora storica» mi spiega. «Ma sarebbe un errore visitarla solo per quei capolavori» precisa. «La villa va scoperta nella sua interezza».
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Locatelli mi spiega che Villa Necchi Campiglio è la testimonianza di un’architettura fatta per una famiglia di collezionisti dove il contenitore e il contenuto dialogano fin dall’inizio della progettazione. È l’esempio di come l’artigianalità della Brianza, con le sue formidabili manovalanze, sia stata portata in una casa borghese milanese. È il simbolo di come in un unico oggetto possano coniugarsi l’arredo degli interni, la realizzazione dell’edificio e l’arte figurativa.
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A Locatelli brillano gli occhi. Ha lo sguardo inquieto di chi vorrebbe essere nel luogo del quale sta parlando. «Se si bada a ogni dettaglio, Villa Necchi Campiglio si può percorrere anche cento volte per scoprire sempre nuove suggestioni», dice.
Bastano meno di venti minuti a piedi, e ci si sposta al secondo luogo consigliato dall’architetto, in via Giorgio Jan al numero 15, dove ha sede la fondazione Boschi Di Stefano, una casa-museo in un palazzo progettato ancora una volta da Portaluppi.
2. Fondazione Boschi-Di Stefano, via Giorgio Jan 15, Milano
Ha ragione l’architetto: conosco la storica dimora Boschi Di Stefano. Dentro vi sono circa 300 delle opere che i coniugi Antonio Boschi e Marieda Di Stefano avevano accumulato durante la loro vita. Severini, Boccioni, Funi, Marussig, Tozzi, Carrà, Casorati: è come avere davanti un manuale di storia dell’arte e vedersi materializzare uno dopo l’altro i capolavori del Novecento italiano.
«Qui stupisce l’intreccio fortissimo tra un’architettura meravigliosa e un collezionismo d’arte esasperato.»
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«Ho visto alcune foto di com’era la casa prima dell’apertura al pubblico» mi racconta Locatelli. «C’erano quadri ovunque, accatastati uno sull’altro, i coniugi ne possedevano più di duemila, erano appoggiati persino davanti alle finestre. I due collezionisti vivevano praticamente nel buio, erano come due “barboni di lusso”, rifugiati nell’amore della loro arte, legati non ai singoli oggetti ma all’intera collezione intesa come indivisibile».
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Ancora adesso, visitare quei locali (la casa è aperta a tutti, gratuitamente) permette di respirare un po’ di quell’atmosfera, di entrare in un sogno d’arte senza tempo.
Ma la vera chicca è nella centralissima via Montenapoleone. «Migliaia di persone passano ogni giorno in quella strada, ma tutti guardano soltanto i vestiti nelle vetrine. Invece basterebbe alzare lo sguardo e si scoprirebbe più di una meraviglia».
3. La balaustra di Lucio Fontana, via Montenapoleone 27, Milano
«Al civico 27 c’è oggi lo showroom di Loro Piana – mi spiega Locatelli – ma un tempo al suo posto c’era la Tecno-Mobili da ufficio, fondata dall’architetto Osvaldo Borsani, che commissionò la balaustra del secondo piano a uno sconosciuto artista del tempo: un certo Lucio Fontana…». Sì, l’artista dei tagli alle prese con un’opera per un’architettura che nessuno guarda più. «Ancora oggi si può vedere questa realizzazione dal sapore modernissimo».
La balaustra di Fontana, terza meta di questo mini-viaggio, è «il simbolo di un’epoca nella quale l’arte e il design erano legati a doppio filo», mi spiega l’architetto. Mi racconta che l’artista disegnò molti complementi d’arredo. E con lui diversi altri pittori e scultori, poi divenuti famosissimi, lavorarono su una collezione speciale della Tecno.
Villa Necchi Campiglio, la fondazione Boschi di Stefano, la balaustra di Fontana: tutti emblemi di una Milano che nonostante i problemi dell’immediato dopoguerra scommetteva nell’arte, la considerava uno strumento per migliorare la società. «Un paradiso perduto?», domando. «Non del tutto» risponde Locatelli. «Nel connubio tra architettura, design e arte, Milano ha radici robuste; forse con il tempo si erano un po’ indebolite, ma sono convinto che oggi stanno riprendendo vigore».
E lo stesso Locatelli è oggi un protagonista di questa rinascita: lo è grazie allo spazio nella chiesa di San Paolo Converso, nella centralissima piazza Sant’Eufemia. Quel luogo suggestivo, decorato da un meraviglioso ciclo di affreschi barocchi, è oggi dedicato all’arte, ma ha spesso cambiato pelle. Anticamente era sede di un monastero, poi divenne una chiesa, e quando questa fu sconsacrata divenne un magazzino.
4. Spazio Converso nella Chiesa di San Paolo Converso, Piazza Sant’Eufemia 1, Milano
Nel secolo scorso è stata anche sala d’incisione. Lì, per esempio, hanno avuto casa l’etichetta discografica La voce del Padrone e poi quella di Giacomo Mazzini, padre di Mina. Infine, San Paolo Converso è diventata la sede dello studio di progettazione di Locatelli. «Abbiamo avuto lì i nostri uffici fino a pochi mesi fa. Adesso abbiamo deciso di dedicare l’intero spazio alla creatività di artisti e designer» mi spiega l’architetto.
«Lo spazio Converso è un luogo consacrato all’architettura, all’arte e al design per ogni creativo che abbia qualcosa da mostrare». Un volta si è trasformato in un campo da tennis, durante la mostra personale dello statunitense Asad Raza: l’artista crede che spingendo le persone a interagire tra loro e con l’ambiente circostante, l’esperienza che ne nasce sarà in qualche modo memorabile e illuminate.
Le prossime rassegne? «Dal 23 gennaio 2020 ci sarà una mostra dell’inglese Michael Dean; e poi ancora un’esposizione di arte e design durante il Salone del Mobile», mi anticipa. «Ma seguiranno altre iniziative. Siamo aperti a valutare progetti; siamo curiosi di scoprire talenti da tutto al mondo, e siamo orgogliosi di mostrarli qui, a Converso, a Milano».