Ogni volta che ti avvicini all’armadio di una donna pensi che sia uno spazio maledetto e, soprattutto, caotico. Da uomo gestisci questo pensiero con la serenità e la convinzione di avere un guardaroba molto più lineare, almeno fino a quando non incontri l’unico oggetto capace di generarti del panico: la cravatta.
Eppure, nonostante generi in te sempre un po’ di insicurezza, è qualcosa che desideri ― e che in fondo ami molto. Con l’aiuto del racconto di alcuni mastri artigiani, vogliamo accompagnarti lungo la storia che porta alla realizzazione della cravatta, per capire come mai è ancora oggi un accessorio prezioso del desiderio maschile.
Dove nasce la cravatta?
Sin dai tempi delle prime filature esistevano elementi decorativi per il collo. Il concetto di cravatta, però, comincia a farsi strada dal XVII secolo: il nome deriva da “crovatto”, termine che identificava la cavalleria croata, solita a indossare foulard.
Dalla fine del XIX secolo si delinea la forma. Dapprima come variazione del fazzoletto da collo, che si allunga e si annoda con un four in hand, poi con uno stile molto simile a quello odierno. Siamo nei primi del XX secolo.
Le prime cravatte erano di lino bianco e merletti. Ben presto, però, la seta si fece strada nel confezionamento in quanto materiale prezioso ed elegante.
Perché è così preziosa la seta?
La lavorazione della seta ha origini antiche e, almeno nelle prime fasi, si è tramandata nel tempo. Oggi i bachi da seta scelti per i migliori filati arrivano ancora principalmente dalla Cina, poi India e Brasile.
I bachi da seta nascono in covate da circa 300 esemplari, le cui larve tessono altrettanti bozzoli di seta. Poco prima della schiusa vengono scottati a vapore e la fibra viene srotolata con un’apposita spazzola. Così si individua il bandolo.
Ogni baco produce fino a 1500 metri di filo di seta. Alcuni addirittura dichiarano 3000 per i più grandi, ma se ne possono utilizzare poco più della metà o meno. I resti della colla naturale del baco vengono rimossi con un sapone e, da qui, si avvia la lavorazione della seta grezza.
Per dare un’idea: un filato lungo quanto la distanza Milano-Roma è sufficiente per fare due cravatte al massimo.
La lavorazione della cravatta
La lavorazione del tessuto per cravatteria ― la città di Como è ancora oggi uno dei maggiori distretti tessili mondiali ― può essere a mano o con la macchina Liba. La lavorazione a mano è quella più pregiata.
La fantasia delle cravatte può essere ottenuta attraverso la stampa ― sia serigrafica sia digitale ― o già in fase di tessitura, utilizzando la tecnica jacquard.
Fin dove deve arrivare la cravatta?
Le cravatte hanno una larghezza ideale che varia tra i 7 e i 9 centimetri a seconda delle mode e delle caratteristiche di ogni brand. La lunghezza dipende dall’altezza dell’uomo ma non è mai inferiore ai 145 centimetri. Indossata deve arrivare sotto il girovita, all’altezza della cintura.
Per confezionare la cravatta vengono assemblati tre pezzi diversi (due nella manifattura francese da stampa su carré): una pala, anche detta punta, che è la parte anteriore e visibile dell’accessorio; il collo, la porzione che sta attorno al collo e il codino, che è la parte terminale.
Mancano ancora due dettagli per completare la cravatta: la fodera in seta e il sostegno o anima (in lana oppure misto lana) come guida e rinforzo per il confezionamento.
Perché si sappia, le cravatte a 7 pieghe ne sono sprovviste, in quanto generano da sole uno spessore che serve per sostenerle.
Come viene confezionata
La cravatta più diffusa è la 4 pieghe ― double four folds. Qui le fodere vengono cucite sulla pala e codino tramite tre pinces. Viene poi riportata la larghezza da ottenere e, in un secondo momento, si procede a piegare il tessuto e a spillarlo in tutta la sua lunghezza.
Utilizzando un unico filo si crea prima un punto occhiello a 15-20 centimetri dalla punta, poi si genera un’asola interna ― slip stitch ―, che servirà per tirare il filo e rimettere in forma la cravatta. In seguito si può passare alla cucitura lungo la sua lunghezza. In molte cravatte viene poi inserito un passantino che serve per fermare il codino una volta indossate.
Quando lo capisci se hai davanti una cravatta di qualità?
Capire se si ha davanti una buona cravatta non è del tutto semplice. Niente panico: ti diciamo noi le cose a cui prestare la giusta attenzione.
La seta, prima di tutto: se è troppo liscia non è di buona qualità perché la vera seta si attacca alle asperità delle dita. Inoltre, se si prova a stropicciarla non deve mantenere pieghe permanenti. La fantasia: deve essere centrale e orientata verso la punta. Ciò significa che, come è corretto, è stato tagliata a mano a 45°. L’anima deve essere in pura lana 100% o, al massimo, misto lana.
La fodera in seta (e non in acetato) oppure nel tessuto stesso della cravatta ― self tipped ―, ancora più raffinata. Infine, la presenza del punto occhiello e dello slip stitch sono due caratteristiche fondamentali per capirne la reale manifattura.
Quello che ti serve per tenerla bene nel tempo (anche in viaggio)
Una volta tolta va allentata, sfilata dalla testa e il nodo va disfatto a mano. Si può riporre distesa, oppure arrotolarla attorno alla mano e sistemarla nel cassetto. Se stai usando un portacravatte dell’armadio, ricordati che non deve comprimerle ma, anzi, bisogna lasciare aria tra una e l’altra.
Basta un colpo di vapore per allentare ogni piccola imperfezione ridando una piega perfetta al tuo accessorio.
In viaggio, possono essere inserite arrotolate nei colli delle camicie, oppure riposte in angoli del bagaglio in cui non subiscano pressione. Se si sporca ti consigliamo di trattarla subito grattando delicatamente prima che la macchia penetri, oppure, se si tratta di unto, meglio andare a lavarla subito a secco.
Adesso sei pronto e non ti resta che aprire l’armadio e scegliere la cravatta di seta che più si abbini all’abito che vuoi indossare. Ci siamo passati anche noi. È uno dei tuoi tanti oggetti del desiderio: la guardi, ti vuoi avvicinare, e dentro senti un’irrefrenabile voglia di sapere come funziona. Ora puoi farla tua.