Due chiacchiere con: Roberto Selvetti

Author Martina Acquafredda contributor
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Calendar 02/10/2017
Time passed Tempo di lettura 3 min

Metodico, innamorato della città di Milano e del suo lavoro (l’ambiente piccolo premia), e fissato con un film che non ti aspetteresti. Roberto Selvetti è uno dei nostri primi clienti ― era presente all’inaugurazione della prima Bottega ― e ha tutti i modelli di scarpe Velasca colore nero appoggiati su pile de Il Sole 24 Ore, diventate poi una scarpiera. Lo abbiamo incontrato in un bar in centro poco fuori il suo studio in compagnia delle sue Cadregatt.

Ciao Roberto, ci racconti la tua giornata?

Sono molto metodico: ho la sveglia alle 7 e un quarto tutti i giorni, tranne la domenica. Colazione rigorosamente a casa e, con qualsiasi clima, tè caldo. Magari vario il cibo ― biscotti, pane e Nutella ― ma il tè caldo è un must. Dopo la doccia, esco verso le 8 e mezzo circa.

La giornata di lavoro è molto varia, non ho una routine così definita. Difficilmente però la giornata finisce presto, esco spesso intorno alle 8 e mezza. Non perché sia uno stacanovista ma essendo in pochi il lavoro è molto. E mi piace darmi da fare.

Cosa ti piace del tuo lavoro?

La sua variabilità e i continui cambi d’agenda. La metodicità la lascio alla vita privata, in ufficio mi ucciderebbe. Sono contento di avere molti impegni fuori sede e di viaggiare molto. Apprezzo anche il fatto di lavorare in un’azienda piccola: questo rende l’ambiente meno strutturato e gerarchico, più flessibile.

A Million Steps

Pranzo fuori o delivery?

Asporto o delivery. Non sono un amante del pranzo fuori perché non riesco a godermelo, finisce che continuo a pensare al lavoro. Allora preferisco svagarmi un attimo con cibo e musica per poi rimettermi all’opera.

Come ti ha conquistato Velasca?

Mi ha conquistato con la sua ironia sottile. È un’idea brillante, realizzata con freschezza e positività. Mi ispira molta simpatia perciò, se devo scegliere, faccio più volentieri un acquisto da loro piuttosto che da brand blasonati che se la tirano un po’.

E come abbini le tue scarpe?

Le uso soprattutto in ufficio. Per l’abbigliamento da lavoro tendo al classico: abito blu e camicia bianca, uno stile plain sicuramente dovuto al mio passato in banca d’affari, dove vige ancora il “no brown in town” per le scarpe. Non amo le cravatte in seta, quindi cravatta in lana, cashmere o cotone.

Un posto a Milano dove ti piace passare del tempo?

Io adoro Milano. Venero Milano. Sono qui dal 2006, mi sono trasferito per l’università con tutto il mio gruppo di amici, e da allora vivo con loro. Per cui è difficile scegliere un posto solo, ho molti luoghi che sento miei. Sicuramente sono molto legato alla zona dove vivo, tra Via Quadronno e Piazza Cardinal Ferrari, lì mi sento proprio a casa. Passeggio molto, spesso la sera torno a casa a piedi.

Ti abbiamo riconosciuto. Cosa ti ricordi dell’inaugurazione della nostra prima Bottega?

Il gin, sicuramente. Ecco, è un particolare che si riallaccia bene alla mia concezione del marchio: le tante bottiglie di Hendrick’s ti colpivano, ma non erano fuori contesto. È stato un bell’evento, conoscevo molta gente, c’era gran parte dell’ambiente finanziario di Milano.

A Million Steps

Un film da vedere (o rivedere)?

Il primo che mi viene in mente in realtà non è un film ma un cartone animato. Adoro ‘Il re Leone’, lo avrò visto 20 volte e lo riguardo almeno una volta all’anno. Mi piacciono gli animali africani, è un paese che ho visitato più volte e che amo.

Un film che mi è davvero piaciuto è ‘Pane, amore e…’ con Vittorio De Sica e Sophia Loren. È una commedia molto leggera, ha la spensieratezza che mi piace, interpreta bene un’epoca italiana senza appesantirla.

Una scena mi ha colpito particolarmente: la Loren ― che interpreta una pescivendola ― balla a una festa con un ragazzo del luogo. De Sica ― un maresciallo invaghito e geloso della bella ― decide di ballare a sua volta e farla ingelosire. Non parlano, ma la mimica di De Sica dice tutto e molto di più.

Cosa avresti fatto di diverso da grande?

Avrei fatto l’archeologo, senza dubbio. Ho avuto una fase da bambino in cui volevo fare il carabiniere frontaliere, ma l’archeologia è sempre stata la prima vera passione.

Foto di Ludovico Bertè
redits

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