Lo conosciamo tutti, Fellini. Basta citare qualche titolo per far affiorare alla mente le sue scene cult. La dolce vita, 8½, Amarcord… Pochi, però, sanno che quell’arte cinematografica ha la sua radice nella pratica del disegno: nelle vignette umoristiche, nei fumetti, persino negli schizzi venati di erotismo e comicità che regalava alla sua amata Giulietta Masina.
«Federico è solo un sogno,
una macchina del tempo
tutto quello che rimane intorno
è una sciarpa contro il vento
…un treno che va via.»
Eccolo: Federico Fellini è tutto qui, è in questi pochi versi scritti da Antonello Venditti nella canzone Fellini, del 1982.
Sono poche parole, ma valgono più delle tante pagine dedicate al regista nato a Rimini il 20 gennaio di 100 anni fa. “Federico è un sogno”: ogni sua pellicola ci fa vivere atmosfere oniriche e visionarie. È “una macchina del tempo”: che ha sempre messo l’Eden dell’infanzia al centro dei suoi film. Ed è “una sciarpa contro il vento”: perché quel suo sciarpone rosso è divenuto l’iconico tratto di ogni regista.
E quella stessa sciarpa rossa è al collo del suo alter ego Marcello Mastroianni sulla copertina di un fumetto del grande Milo Manara: Viaggio a Tulum, nato proprio dalla collaborazione tra i due geniali creativi. Nel fumetto ci sono tutti gli emblemi cari a Fellini, come Cinecittà, il luogo principe della sua fantasia, dove si aggirano la Giulietta Masina de La Strada, la Anita Ekberg de La Dolce Vita, e l’immancabile alter ego Marcello Mastroianni, protagonista della storia.
Fellini non è stato soltanto un formidabile regista, è stato anche – per tutta la vita – un infaticabile disegnatore e ispiratore di fumetti.
Fino ai 28 anni, Fellini è stato soprattutto un vignettista. È così che si guadagna da vivere.
Partito da Rimini alla volta di Roma, sul finire degli anni ’30 fa una tappa a Firenze, dove lavora alla casa editrice Nerbini: lì fa il correttore di bozze, lo scrittore umoristico, il disegnatore, e scrive le sceneggiature di alcune storie a fumetti di Flash Gordon. Per Nerbini, Fellini lavora anche come vignettista al giornale satirico Il 420. Poi, una volta arrivato a Roma, lavora al Marc’Aurelio, una pubblicazione umoristica che fu un’ottima palestra anche per futuri registi e sceneggiatori come Cesare Zavattini ed Ettore Scola.
Sia le vignette per Nerbini sia quelle per il Marc’Aurelio sono firmate da Fellini con il semplice nome di battesimo. Hanno in comune una strampalata vena surreale e fanno subito di “Federico” una firma di punta. Il successo porta i primi quattrini, e inserisce il giovane disegnatore nel circuito dei più influenti creativi romani. Fellini inizia a collaborare a film di comici come Erminio Macario, scrive le battute per gli spettacoli dal vivo di Aldo Fabrizi, comincia a redigere copioni cinematografici e radiofonici.
Il cinema – come attività principale – arriva soltanto all’inizio degli anni ’40, dopo la conoscenza di Roberto Rossellini, che lo introduce come sceneggiatore tra i collaboratori per Roma città aperta. Da lì in poi la sua via maestra sarà il grande schermo. Ma Fellini non smetterà di disegnare. Anzi, d’ora in poi saranno proprio i disegni a segnare la genesi di ogni suo lungometraggio: il disegno prende corpo negli storyboard dei suoi film che realizza sempre di suo pugno. Come il “patacca” in Amarcord (sopra) o la soubrette in Otto e mezzo.
«Perché disegno i personaggi dei miei film? Perché prendo appunti grafici delle loro facce, dei nasi, dei baffi, delle cravatte, delle borsette, del modo di accavallare le gambe, delle persone che vengono a trovarmi in ufficio? Perché è un modo per cominciare a guardare il film in faccia, per vedere che tipo è. È il tentativo di fissare qualcosa, sia pure minuscolo, al limite dell’insignificanza, ma che mi sembra abbia comunque a che fare col film, e velatamente mi parla di lui»
A volte gli capita di collaborare con grandi artisti. Per i film Il Casanova e La città delle donne, per esempio, disegna a gomito a gomito con il pittore francese Roland Tropor, un tale che non si separava mai dal suo sigaro cubano e che nelle sue immagini surrealiste metteva in scena le stesse inquietudini che Fellini avrebbe raccontato nei suoi film.
Federico e Roland si scambiano impulsi e suggestioni, discutono dei modi per caricare di simboli universali le scene di vita quotidiana.
Fellini e Tropor lavorano insieme anche per un altro stranissimo progetto: Il viaggio di G. Mastorna, detto Fernet, un lungometraggio cui Fellini teneva moltissimo e nella cui sceneggiatura aveva coinvolto anche lo scrittore e pittore Dino Buzzati. Il progetto vide la luce, ma non sotto forma di film: nel 1992 diventò la base per l’omonimo fumetto del grande Milo Manara, pubblicato poi dall’editore Il Grifo.
La trama, onirica e visionaria, è nel più perfetto stile felliniano. Tutto ruota intorno a tale Giuseppe Mastorna, detto Fernet, un famoso clown che dopo aver girato il mondo con il circo si ritrova in una città del Nord Europa. Bloccato da una tempesta di neve, diventa protagonista di surreali situazioni, come quando in un misterioso albergo nel cuore di una foresta assiste al ballo di una seducente donna che dopo la danza dà alla luce un bimbo.
Al Museo della Città di Rimini, in via Luigi Tonini, 1, potete vedere da vicino il Libro dei Sogni, lo zibaldone di immagini e parole nel quale Fellini, su consiglio dello psicoanalista Ernst Bernhard, ha trascritto e illustrato per circa trent’anni (dagli anni 60 fino al 1990) la propria fervida attività onirica, quei suoi “viaggi notturni” poi divenuti fondamentale materia di ispirazione per le sue pellicole. Si tratta di due album originali, conservati e protetti in due teche, mentre in una postazione interattiva si può sfogliare un’edizione anastatica.
Guardare quelle tavole significa entrare nell’officina inventiva di Fellini dall’ingresso principale, indagare le sue fonti d’ispirazione, assistere al trasformarsi di un’idea in film, vedere sul nascere le figure e i temi che avrebbero poi popolato le sue pellicole. Per usare le sue parole: “Sprofondare giù nell’abisso marino, giù nell’inconscio, pescare nella sconosciuta voragine del mare e risalire a galla con i tesori”. Oppure, parafrasando Vincent van Gogh: “Sognare i dipinti per poi dipingere i sogni”.