Luigi “Gigi” Meroni nasce a Como il 24 febbraio 1943, secondogenito di Rosa, fratello di Celestino e della piccola Maria, dono di un destino che, nel 1945, si prende però il padre Emilio. Dopo l’infanzia trascorsa rincorrendo un pallone all’Oratorio San Bartolomeo, nel 1960 viene ingaggiato dal Como, formazione di Serie B con cui, giocando da ala destra, attira le attenzioni del Genoa, che lo acquista nell’estate del ’62 e con cui Gigi debutta nella massima serie a novembre, poco dopo aver conosciuto Cristiana, splendida giostraia polacca e promessa sposa dell’aiuto regista Luigi Petrini.
16 ottobre 1967, Torino:
“Un cordone di carabinieri picchetta l’ingresso del civico 76, impedendo alla folla di arrampicarsi lungo le scale, su, fino al secondo piano, nella sala rossa, dove tra bandiere e trofei un pugno di ragazzotti smarriti si raccoglie attorno a una bara di noce chiaro; lì un paio di gambe nerborute riposano tra le pieghe del pantalone grigio, una giacca blu abbottona un busto lieve, da adolescente, e un rosario di madreperla si lascia stringere da delle mani pallide”.
Protagonista assoluto delle fortune del Grifone, oltre che per i paragoni con l’astro nascente George Best e con lo juventino Omar Sivori, Gigi comincia a far parlare di sé anche per un look e per dei comportamenti decisamente inusuali. Maglia numero sette tenuta fuori dai pantaloncini, calzettoni abbassati, una scapigliata matassa di capelli neri e barba incolta; quello che sbarca a Torino nel 1964 è un vero e proprio beat.
“Guida una Balilla verde del 1937 ― con rifiniture dorate, interni trapuntati e una piccola abat-jour appesa al tettuccio ― passeggia portando una gallina al guinzaglio e disegna da solo i propri abiti dal taglio futurista”.
Già, perché se in campo preferisce un dribbling al gol, nella vita Meroni indossa pantaloni borchiati e strappati, paltò alla Napoleone e camicie arabescate, alterna il trilby alla coppola e porta un paio di RayBan Aviator per coprire le occhiaie e le fughe notturne verso Genova, dove nel frattempo, abbandonata Roma e il marito dopo una relazione mai consumata, è tornata Cristiana.
Educato e rispettoso secondo Nereo Rocco, ammirato dai coetanei e coccolato dai compagni, quel giovane che ama dipingere e ballare sulle note dei Beatles è però malvisto dall’Italia borghese dell’epoca; un paese moralmente retrogrado che Luigi stesso continua a sfidare invitando Cristiana a vivere con lui nella piccola mansarda di Piazza Vittorio e ostentando con orgoglio il loro sovversivo amore. Per questi motivi, pur incantando i tifosi del Toro con il suo genio elegante, Calimero fatica a imporsi in una nazionale governata dal marziale c.t. Edmondo Fabbri.
16 ottobre 1967, Torino:
“Il feretro culla un ventiquattrenne imbronciato, appena invecchiato da quei baffi scuri che ne assottigliano il viso in una smorfia malinconica, persa tra la seta rossa della cravatta. Un indio dal volto rigato si avvicina a quelle dolci spoglie, accarezzandone la chioma arruffata sino a scoprire la fronte bianca per baciarla, prima di sussurrare un addio”.
Dopo lo sfortunato mondiale inglese del 1966, Luigi si riscatta registrando quella che per le statistiche è la migliore annata della sua carriera: appartiene ormai alla Maratona e a Cristiana, che ha avviato le pratiche di annullamento del matrimonio e con la quale progetta di sposarsi. Il coach Enzo Bearzot dirà più tardi:
“Meroni faceva tutto con amore, dentro e fuori dal campo”.
All’inizio della stagione 1967/1968 Meroni è il leader di una formazione in rampa di lancio e nemmeno Fabbri ― nuovo allenatore del Torino ― può più resistere ai modi bizzarri di quell’eroe gentile, idolo di una piazza finalmente pronta ad affrontare alla pari l’attesissimo scontro con i rivali bianconeri.
Disgraziatamente però, la sera del 15 ottobre, un’auto travolge Gigi mentre sta tornando nel suo nuovo appartamento in Corso Re Umberto, strappandolo così ai suoi sogni e a quelli dei suoi tifosi. La domenica seguente c’è il derby a Torino.
22 ottobre 1967, Torino vs Juventus 4-0:
“Nestor Combin, l’indio dal volto rigato, firma tre reti cariche di rabbia e disperazione. E anche la Vecchia Signora sorride mentre la maglia numero sette esulta ancora volta. Non la indossa più Meroni, ora è sulle spalle di Alberto Carelli, eppure il pallone si alza e ricama una curiosa parabola. Un ultimo dribbling della farfalla granata”.