Gli anni ‘50: i comici del Derby Club Milano

Author Melania Romanelli contributor
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Calendar 18/09/2017
Time passed Tempo di lettura 3 min

Gianni si aggira nervoso dietro le quinte. È una calda sera d’estate e la sala è gremita di gente: chi attende seduto al bancone del bar, chi fa il suo ingresso mano nella mano in sala, chi sorseggia rilassato su un comodo pouf nero il suo cocktail preferito.

Sul palco un ragazzone alto, di Cremona, si sta esibendo per la prima volta con il suo personale numero di cabaret. Una battuta, un sorriso smagliante e il pubblico scoppia in una fragorosa risata e in un applauso rumoroso.

Gianni sbircia la sala e tira un sospiro di sollievo: tutto sommato, potrebbe farlo esibire anche il giorno dopo. Gianni è Gianni Bongiovanni, il proprietario del Derby Club di Milano.

“Il ragazzone di Cremona è Enzo Iacchetti, uno dei comici più longevi a esibirsi nel suo locale”.

Quella del Derby Club di Via Monte Rosa è la storia del matrimonio felice tra Milano e una schiera di comici, che negli anni 50’ e 60’ ha dato vita a un’avanguardia teatrale (e in seconda battuta anche televisiva) come poche città in Italia.

L’idea di realizzare un locale con cabaret e musica dal vivo nasce dalla mente creativa di Gianni e della moglie Angela, per ridare nuova vita al ristorante dei genitori di lui. La coppia decide di utilizzare lo spazio al piano di sotto per organizzare happening e spettacoli teatrali dai ritmi nuovi.

A Million Steps

Dopo l’approvazione dei proprietari del ristorante Gi-go, dunque, ecco che Angela e il “Bongio”, come viene chiamato da tutti Gianni Bongiovanni, danno vita a ‘Whisky a gogò’, poi ‘Intra’s Derby Club’ (ispirandosi al noto jazzista italiano Enrico Intra e alla vicinanza all’ippodromo di San Siro), ribattezzato in via definitiva solo Derby Club.

Tra divanetti e puff neri, sul palco del locale si esibiranno i comici più importanti nella scena artistica milanese, tra cui Aldo e Giovanni, Diego Abatantuono, Claudio Bisio, Massimo Boldi, Enzo Iacchetti, Giobbe Covatta, Giorgio Faletti, Paolo Rossi, Enzo Jannacci, Teo Teocoli e tanti altri ancora.

Il Derby ha visto un giovane Francesco Salvi macinare chilometri per riuscire a esibirsi per il rotto della cuffia, litigando ogni volta con il padre per il serbatoio sempre vuoto. Ha raccontato le notti insonni di Enzo Iacchetti che faceva la spola tra Milano, dove si esibiva ogni sera, e Ponte Tresa, dove al mattino leggeva la rassegna stampa dei quotidiani dalla radio che gestiva con un gruppo di amici.

“È stato testimone delle liti a colpi di talento tra Giorgio Faletti e Paolo Rossi per presunte battute rubate. Il Derby ha visto nascere il personaggio del ‘terruncello’ dalla bocca e dalla fisicità del nipote di Angela, quel Diego Abatantuono il cui carisma non era sfuggito a Renzo Arbore, che assisteva agli spettacoli dal pubblico”.

E sempre Derby, infine, ha regalato a suon di jazz le note di pianoforte di artisti internazionali del calibro di Charles Aznavour, John Coltrane e Quincy Jones, mentre risuonavano gli applausi degli habituè del locale, tra cui noti affezionati come Gianni Rivera o Pietro Mennea o personaggi dello show biz dell’epoca quali Johnny Dorelli, Dario Fo, Marcello Mastroianni e Mike Bongiorno.

Come tutte le cose belle che risplendono nell’ascesa, però, anche il Derby vivrà a breve la sua parabola discendente. Gli anni ’80 sono gli anni più duri, gli anni nei quali non solo muore il capostipite Gianni, ma nasce anche la la tv commerciale, nella quale il talento di quegli stessi comici troverà una più ampia e più gratificante platea di affezionati. È il 1985 quando lo storico Derby Club di Milano chiude i battenti.

A Million Steps

Nascosta dalle erbe incolte, in via Monte Rosa, c’è ancora la vecchia insegna del locale, troppo nascosta per una vista distratta. Eppure, il nome del Derby Club resiste e si lascia osservare ancora con discrezione.

Guardandolo più da vicino, infatti, la sua bellezza emana ancora tutta la sua storia, la sua regale eredità. Le mura del Derby oggi appartengono al Centro Sociale “Il Cantiere”. Oggi, quelle stesse pareti, sono tappezzate di murales, poster, serigrafie e opere d’arte di riciclo, segno che i tempi saranno anche cambiati, passati, ma trasudano ancora arte e rivoluzionaria modernità.

Entrare dalla porta principale, toccare il bancone con un dito, accarezzare quelle mura, è come entrare in un tempio: si avverte una necessaria riverenza, la nostalgia di un tempo nel quale tutto era possibile, perché erano le persone stesse che lo vivevano a crederci per davvero.

“Il Derby per molti artisti emergenti dell’epoca ha rappresentato una speranza, un posto franco in una città come Milano, ricca di possibilità ma affamata di novità”.

Una città in perenne movimento, alla quale bisognava stare dietro per essere capaci di afferrare il momento e non perdersi. Quei giovani artisti, quei ragazzi, infatti, tra notti insonni e spirito di sacrificio sognavano soltanto un futuro roseo e carico di comicità.

E grazie alla pazienza, alla forza, alla determinazione di persone come Angela e il Bongio, hanno trovato proprio nello storico Derby il trampolino di lancio necessario per poter costruire i propri sogni senza paura di vederli passare via.

Anche se l’aria che si respira è quella della saudade per un luogo dell’immaginario che ormai non esiste più fisicamente, in via Monte Rosa resta la magia di Milano, una città capace di dare tanto senza chiedere nulla in cambio ai suoi sognatori. Una città nella quale le piccole realtà che funzionano non restano mai tali ma che, anzi, son capaci di diventare grandi e di spiccare il volo.

Foto e cartolina storica di Wikipedia
redits

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