A Million Steps
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Tutto questo diede un’incredibile spinta alla creatività di sarti e artigiani.
Inaugurati nel 1937 dal regime fascista, gli studi di Cinecittà hanno sofferto – come il resto della città – la devastazione della guerra. Fu il cinema americano a far ripartire l’attività, spostando la produzione dei kolossal in Italia: pochissime tasse e ambientazioni mozzafiato, perfette per il genere del ‘peplum’, cioè le grandi produzioni storiche.
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E poi, ovviamente, c’erano i sarti, che mettevano a disposizione un’artigianalità e una creatività impareggiabile: non solo i costumisti dei set, ma i couturier che vestivano le dive del cinema in trasferta. Per loro fu un decennio di straordinario fermento.
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«La sposa indosserà un abito di Schuberth.»
Negli anni ’50, tra Firenze e Roma, nascono atelier leggendari: le sorelle Fontana, che vestivano le attrici dentro e fuori dal set (come l’abito qui sopra, disegnato per Ava Gardner). Emilio Pucci, con le sue intramontabili stampe colorate. Ferragamo, che faceva le scarpe – fuor di metafora – a mezza Hollywood, inclusi Rodolfo Valentino e Charlie Chaplin. Emilio Schubert, “il sarto delle dive”, che tra le sue clienti vantava Gina Lollobrigida e Rania di Giordania, la principessa Soraya e Sophia Loren. I suoi abiti nuziali erano così famosi che le donne se ne vantavano sulle partecipazioni di nozze: “La sposa indosserà un abito di Schuberth”. Roberto Capucci e i suoi abiti-scultura: le sue creazioni finirono su Vogue America, e addosso a Marilyn Monroe.
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Un mondo scintillante, durato appena una decina d’anni, svanito presto ed entrato nel mito: col finire degli anni ‘60, finirono anche gli investimenti americani.
Ma ancora oggi, come si fa a guardare Fontana di Trevi senza vedere Anita Ekberg in acqua, che come una sirena in abito lungo, chiama Marcello?