La leggenda di Fausto Coppi

Author Giulio Di Cienzo contributor
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Calendar 20/07/2017
Time passed Tempo di lettura 3 min

Fausto Coppi non è semplicemente il nome di un ciclista. Sportivamente parliamo di uno dei più grandi di sempre nella sua disciplina, un atleta capace di eccellere praticamente in qualunque tipologia di sfida che prevedesse l’uso della bicicletta; ma la sua figura è andata oltre, molto oltre i limiti del ciclismo e dello sport in generale.

Coppi con le sue imprese, la sua vita, è entrato nel mito, diventando un punto di riferimento della cultura italiana, anche per chi non segue il ciclismo. Fausto, poi soprannominato “il Campionissimo”, nasce nel 1919 in una famiglia di coltivatori, e la sua vita inizia con le elementari frequentate a fatica e il lavoro già a 13 anni.

Una storia da secolo scorso, lontanissima da quello a cui siamo abituati oggi: la bicicletta all’inizio è solo un mezzo per portare a casa qualche lira, e forse nessuno si aspettava che un ragazzino così sarebbe diventato un’icona dello sport. Perché Coppi dal punto di vista fisico non sembra esattamente una statua di Fidia. Gianni Brera, anni dopo, lo descriverà così:

“Trova nella bicicletta un complemento di sé che lo esalta. Dimentica di sentirsi brutto, di avere lo sterno da pollo, il collo corto, le spalle taccàa su, come gli dice il scio Ettore con spregio, e due piotino che paiono pinne di foca. La bicicletta diviene parte di lui e delle sue ossa sbilenche”.

Il suo fisico apparentemente poco atletico e pure incline all’infortunio, fragile nei muscoli e nelle ossa, in realtà possiede doti perfette di resistenza sotto sforzo, pane di ogni ciclista. E così nel 1937 inizia a gareggiare in modo non ufficiale. Due anni dopo, il 9 aprile, esordisce nei professionisti, avviando un ventennio di dominio.

Nel 1940 partecipa al suo primo Giro d’Italia, evento che non poteva non essere ammantato da un’aura mistica visto che stiamo parlando di un predestinato. Coppi da buon giovane parte come gregario, ma da fuoriclasse finisce vestendo la mitica maglia rosa, dimostrando tutta la sua forza con una vittoria di tappa epica: fuga da 100 km sotto il diluvio.

Sapete di chi era stato il gregario in quella corsa? Gino Bartali, più grande di cinque anni e già campione affermato. La prima vittoria di spicco per Coppi è stata anche la prima pietra della più nota rivalità della storia dello sport italiano. Una sfida durata una vita, un dualismo di pura epica sportiva che ha diviso l’Italia nell’immediato dopoguerra e regalato alla cultura del paese una delle fotografie più iconiche di sempre.

A Million Steps

Nel 1942 Coppi fornisce prova del suo talento riuscendo anche a stabilire il record dell’ora su pista, al velodromo Vigorelli. L’impresa si compie tra mille difficoltà: il campione era in recupero da una frattura alla clavicola, ma soprattutto l’Italia era in guerra, il che limitò le possibilità di allenamento con motori a causa del carburante razionato.

Pochi giorni dopo a Coppi viene notificato l’ordine di partire per la guerra, in Africa, col suo reggimento di fanteria. Nel 1943 è fatto prigioniero dagli inglesi e rimarrà in campo di concentramento fino al 1945.

Tornato in Italia, per riprendere a gareggiare è addirittura costretto a lanciare un appello tramite la Gazzetta dello Sport per avere in dono una nuova bicicletta adatta alle corse. A causa del conflitto le competizione ricominciano solo nel 1946. Chissà cosa sarebbe stata la già immensa carriera di Coppi senza questo periodo di sosta forzata.

Il ritorno nella Milano-Sanremo di quell’anno è un’altra pagina della leggenda. Coppi va oltre la semplice vittoria: domina la corsa con una fuga solitaria di 151 km, con il secondo classificato che arriva con un ritardo abissale, di quattordici minuti. Carosio, storica voce Rai, commenta così l’arrivo della corsa:

“Primo Fausto Coppi, in attesa del secondo classificato trasmettiamo musica da ballo”.

Da questo momento in poi “l’Airone” diventa praticamente inarrestabile, e la rivalità con Bartali scoppia come uno spumante troppo agitato. I due saranno rivali diretti praticamente per sempre, arrivando a compromettere addirittura il Mondiale del ’48 pur di marcarsi a vicenda, subendo così una doppia squalifica.

Nel suo palmares, ai primi allori giovanili, si aggiungono altre quattro vittorie al Giro d’Italia ― nel ‘49 e nel ‘52 unite anche al trionfo nel Tour de France, impresa mai riuscita prima ― due ori mondiali su pista, uno su strada e un’infinità di classiche, giri, campionati, coppe e circuiti. Brera, ancora lui, per inquadrarne la grandezza, lo definì così:

“Una invenzione della Natura per completare il modestissimo estro meccanico della bicicletta”.

C’è poi il lato umano, che ha fatto parlare parecchio i giornali. Negli anni ‘50 Coppi è decisamente coraggioso, se non sfortunato. Nel 1953 inizia una relazione extraconiugale con Giulia Occhini, già sposata anche lei, suscitando grande scandalo. La relazione fu condannata persino da Papa Pio XII e il marito della “Dama Bianca” denunciò la moglie per adulterio. Lei fu subito arrestata, ed entrambi gli amanti furono condannati in sede processuale. Alla fine, per sposarsi dovettero andare addirittura in Messico.

Ma questa è certamente parte meno celebrata della vita di Coppi. Di lui rimarrà per sempre una descrizione precisa, coniata da Marco Ferretti nel Giro del 1949:

“Un uomo solo è al comando, la sua maglia è biancoceleste, il suo nome è Fausto Coppi”.

Foto di KEYSTONE-FRANCE/GAMMA-RAPHO/Contrasto e CAMERA PRESS/Gino Begotti/Contrasto
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