La notte di Haring e Fiorucci in centro a Milano

Author Melania Romanelli contributor
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Calendar 31/05/2017
Time passed Tempo di lettura 4 min

Milano è come te l’aspetti. Scendi dal treno in Centrale e la riconosci subito. L’hai vista in decine di istantanee, poster, videoclip che ti sembra di conoscerla da sempre.

Vivace e in pieno fermento, ricca di brillanti menti che scorgi tra cappotti neri di mezza stagione, pantaloni kaki arrotolati alle caviglie, scarpe e capelli che ostentano personalità e colorano il look. Menti che arrivano, menti che ripartono, menti che osservano, menti che viaggiano.

Una città (pro)positiva, una città creativa, una città viva. Eppure. C’è una Milano che, forse, non sai. Che guardi, ma che non riesci a vedere. Che parla un tempo presente e sprizza tantissime idee di futuro ma che, contemporaneamente, filtra anche piccoli raggi di luce di un passato che sembra assopito.

A Million Steps

Come i kanji giapponesi insegnano, una parola è molto più del suo identificare un oggetto: è una sensazione, un momento preciso del sé, una scommessa su ciò che custodiamo nel cuore. Il passato di Milano è un “komorebi”.

Come la luce del sole che filtra tra i rami degli alberi (questo il significato giapponese) anche il passato di Milano si fa strada attraverso Corso Vittorio Emanuele II, fuoriesce dai sampietrini in centro, gioca a nascondino tra le guglie del Duomo, colpisce gli occhi dei passanti che si affrettano per dove chissà. Il passato di Milano è nascosto sì, ma è vivo e lo respiriamo continuamente.

“Keith e Elio si incontrano una notte del 1984 in Piazza San Babila. L’aria è frizzante, pungente e libera”.

Nessun ostacolo, nessuna barriera a suggerire un percorso diverso. È la stessa sensazione di libertà che provano Keith e Elio quella notte. Nessun vincolo, nessun giudizio. Solo Milano e qualche nuvola di respiro prima di tirare su la saracinesca.

Elio sta per consegnare a Keith le chiavi del suo storico negozio per far sì che si trasformi in un luogo che sappia parlare, che sappia ispirare. Che si trasformi, in definitiva, esso stesso in un’opera d’arte. E Keith sta per raccontare una storia. La sua storia, la storia dell’umanità, la storia di “tuttomondo” (come recita il titolo del suo celebre murales di Pisa). La storia di Milano: il mondo che vediamo e quello che non riusciamo (ancora) a vedere.

Quella di Keith Haring ed Elio Fiorucci è la storia di un’amicizia che ha poco a che fare con la quotidianità della vita ma che nasce, piuttosto, dalla condivisione di un desiderio di espressività, di chi vuole “bene alla bellezza”, citando le parole di Oliviero Toscani in occasione del funerale dell’imprenditore milanese scomparso di recente.

Ed è anche la storia di una città che negli anni ’80 ha saputo gettare le basi culturali di un’avanguardia artistica che non si è mai arrestata ma che, anzi, continua e si evolve sotto nuove forme.

A Million Steps

A Milano negli anni ’60 Fiorucci apre lo storico negozio in Galleria Passarella, che fin da subito si impone non solo come luogo di ritrovo per la gioventù milanese ma anche come concept store d’avanguardia per esporre nuove tendenze, e respirare arte e design attraverso collezioni di abiti, accessori, profumi e pezzi unici, così come accade in città quali Londra e New York.

La sua continua ricerca in fatto di stili, tendenze e movimenti espressivi, d’altro canto, lo condurranno negli anni ’70 proprio nella strade ordinate della Grande Mela, dove rimane colpito non soltanto dalla rumorosa maestosità dei grattacieli ma, soprattutto, dalla discreta urgenza dei graffiti, un’arte politica che Fiorucci stesso descrive come:

“Il bisogno di un segno di umanità in un luogo dove la tecnologia sembra stia prendendo il sopravvento”.

E il re incontrastato del graffitismo e della street art newyorkese dell’epoca è proprio Keith Haring. Grazie alle intuizioni dell’Art Director del marchio Fiorucci, Tito Pastore, Elio decide di mettersi in contatto con Keith per portare questa arte espressiva, irriverente e contemporanea, anche a Milano, dove Elio è intenzionato a offrire all’artista non solo un lavoro ma una visione.

Siamo negli anni ’80, e Keith è già una star dei “subway drawings” i disegni liberi che animano di vita e di energia il grigio della metropolitana newyorkese, quando l’arte “esce fuori” dalle mura dei musei per abitare luoghi pubblici, per definire nuove identità e volontà di cambiamento. Così come Andy Warhol, con il quale collabora costantemente, Keith è soprattutto un artista in costante ricerca espressiva.

“Sarà Warhol a convincere Haring ad accettare la corte di Fiorucci, che dopo il sì dell’americano svuota il suo negozio di 1500 mq per dare vita a quello che diventerà un evento senza precedenti per la storia dell’arte”.

Keith Haring assieme a Angel Ortiz “LA II”, un 16enne di immenso talento che lo aiuterà nelle decorazioni in Galleria, arriva a Milano nel 1984 accolto con vivido interesse: del resto, l’idea che frulla nella testa di Elio è proprio quella di regalare alla sua città un evento indimenticabile, un momento di stupore e scoperta non solo da dipingere sulle pareti bianche del suo negozio ma anche da imprimere negli occhi di tutti coloro che assisteranno in diretta alla performance live.

Lo store Fiorucci resterà aperto due giorni e due notti, per permettere a chiunque di ammirare il lavoro di Keith Haring alla sua massima potenza, mentre ricopre il bianco di cani, omini con la testa deforme e bambini radianti.

“La performance artistica, trasmessa in diretta televisiva, resterà una tra le più importanti celebrazioni di arte ‘urbana’ ancora impressa nella memoria dei milanesi”.

La curiosità di due menti come quelle di Elio e Keith, la curiosità che quelle notti animava il cuore della Milano di ieri, la stessa curiosità che anima Milano ancora oggi. L’arte non era affatto una questione economica ma rappresentava una visione comune del mondo. Ed Elio e Keith ce l’avevano.

A Million Steps

Sotto gli archi della Galleria Passarella, oggi, sono due le sensazioni che accompagnano il cammino. La prima, di nostalgia. La seconda, di consapevolezza. Nostalgia di un qualcosa di magico che oggi sembra invisibile; consapevolezza che ogni angolo della città nasconda delle storie che è nostro dovere scovare e raccontare.

Nel 2003 il concept store di Piazza San Babila abbassa la saracinesca, la stessa che Elio Fiorucci aveva alzato pieno di speranza venti anni prima, mentre i dipinti di Haring sono venduti all’asta.

I luoghi di un presente lontano, e brutale nel suo evolversi, mutano ma restano nelle visioni di due amanti del bello che hanno provato a rendere Milano il centro nevralgico della sperimentazione collettiva.

Foto in apertura di Anthony who? …an absolute nobody!, foto d’archivio di Piazza San Babila, anni 60 di Milàn l’era inscì, e Urbanfile Fiorucci (1980) NYC di Shilpot; tutte da Flickr
redits

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