Correva l’anno 1965 e i Fab Four ― come venivano chiamati i quattro favolosi scarafaggi di Liverpool dalla stampa internazionale ― erano sulla cresta dell’onda: 180 milioni di dischi venduti, una quotazione di due miliardi di lire a testa, uno stuolo di fans (soprattutto ragazze) pronto a strapparsi i capelli per vederli anche solo per qualche secondo, picco di vendite delle “giacche alla Beatles” con collo alla coreana e dei capelli a scodella, che grazie a loro diventeranno il trend dell’epoca.
Un fenomeno di costume di proporzioni impensabili dal nome “The Beatles”. Il loro successo coinvolgeva anche l’Italia, dove migliaia di fans stavano aspettando dai loro albori un unico evento: l’arrivo dei quattro ragazzi nel Belpaese. Un sogno, che nella calda estate milanese appena sbocciata, stava per diventare realtà.
La notte del 23 giugno, infatti, i quattro approdano nella città meneghina per presenziare al loro minitour organizzato e fortemente voluto dall’impresario Leo Wächter, che aveva siglato un accordo per il teatro Vigorelli, strappandolo per un soffio a Sergio Bernardini, allora impresario dello storico locale della Versilia La Bussola, oltre a un contratto per dei concerti in tre città italiane: Roma, Genova e, appunto, Milano.
Dopo il bagno di folla mondiale, quindi, i Beatles approdano a Milano pronti a cavalcare l’onda tricolore. L’arrivo è previsto via treno, al marciapiede 16 della Stazione Centrale. Ad attenderli dalle dieci di sera circa ― come da copione ― tre mila ragazzi scalpitanti.
“Striscioni colorati, grida, parrucche alla paggio, magliette colorate, pantaloni stretti, gonne corte. Un’umanità scalmanata, facile ad accendersi, esibizionista, incline a manifestare il proprio entusiasmo purché i flash dei fotografi fossero disponibili. Alle 23.15 sono saltati i cordoni della polizia e la massa è straripata sui marciapiedi. Alle 23.20 la polizia ha organizzato il contrattacco e sono volate le prime botte. Alle 23.30 la marea era costretta a ritirarsi. Giù, lungo la scalinata e sulla piazza, la pressione veniva domata con i manganelli”.
La tensione è forte ma l’entusiasmo, d’altra parte, lo è ancora di più. Poco dopo mezzanotte, però, l’altoparlante avverte che il treno da Lione è sì in arrivo, ma al binario 3. In un attimo si scatena il delirio: chi corre, chi urla, chi cerca disperatamente di raggiungere il marciapiede 3 nel tentativo di toccare con mano i propri idoli. È tutto vano.
Con l’aiuto della polizia i Beatles si dileguano giù per lo scalo F, un’uscita secondaria sul lato destro, senza farsi vedere da anima viva. La delusione è tanta, ma non ha molto raggio d’azione, dato che il giorno successivo è quello del sospirato debutto. Le premesse per un trionfo annunciato ci sono tutte.
Tuttavia, avviene una situazione molto curiosa. Se l’attesa dei fans continua a essere spasmodica con tanto di code e masse accalcate nei pressi dell’Hotel Duomo, la stampa italiana, già tiepida fin dal principio, si raffredda completamente, incapace di comprendere a pieno il fenomeno che si dispiega insolente di fronte a loro.
Dopo l’arrivo nell’afosa estate italiana, infatti, i principali quotidiani nazionali si lasciano andare a lapidari commenti. Nelle pagine del Messaggero c’è chi li chiama “sublimi idioti”, mentre in televisione c’è chi li reputa musicisti inutili e cantanti stonati, snobbando ciò che sta accadendo, al contrario, tra la gente comune, dove la Beatlemania fa fatica a spegnersi. E non solo tra le ragazzine che si dimenano “come ossessi”, senza nemmeno ascoltare le canzoni.
“Gli alti vertici della Marina Militare, infatti, sono costretti a proibire ai militari il ‘taglio a scodella’, mentre i parlamentari a Roma lamentano le distrazioni della Polizia, troppo impegnata dietro ai Beatles per potersi occupare delle normali faccende di ordine pubblico”.
Tutto si aspettano i quattro di Liverpool, tranne che di essere snobbati dalla stampa tricolore e di ritrovarsi nel duello senza fine tra fans scalmanati e commentatori. Duello che si rinnova a mezzogiorno del 24, quando è di scena la conferenza stampa. I giornalisti si animano per cercare la domanda scomoda e i Fab Four, in tutta risposta, li prendono in giro trovando risposte ancora più scomode.
“Per quanto tempo prevedete di stare sulla cresta dell’onda?”
“Finché dura. Durerà parecchio”.
“Pensate che esista qualcuno più grande o più importante di voi?”
“La Regina”.
I Beatles si esibiscono in due mini-concerti di 35-40 minuti ciascuno, come in voga in quell’epoca, uno al pomeriggio e uno alla sera, per un totale di ventisei mila spettatori e trentotto gradi di temperatura.
La stampa, più intenta a raccontare il derby tra Milan e Inter, sottolineerà che il previsto tutto esaurito non c’è stato, mentre la folla in visibilio urla a squarciagola le hit più famose che i Beatles non risparmiano. La Rai decide di non partecipare nemmeno alle riprese del concerto in notturna, perché lo reputa un evento di poco conto.
Per la decisione, quasi del tutto unanime della stampa italiana, di storcere il naso di fronte a cotanta incontenibile ondata di delirio pop collettivo restano, in definitiva, poche immagini e qualche documento di quello che rimarrà l’unico tour in Italia dei Beatles.
Un frammento video delle quattro del pomeriggio ripreso con la telecamera personale dal cantante Peppino di Capri ― che assieme a Fausto Leali, Guidone e i New Dada altri aveva aperto il concerto dei quattro di Liverpool ― e qualche immagine del servizio fotografico che i quattro hanno tenuto nel pomeriggio all’Hotel Duomo.
La felicità di chi ha partecipato a quella dura notte del Vigorelli fa fatica a spegnersi, così come la Beatlemania che, dopo 52 anni, resta intatta, nonostante la breve carriera di apparizioni sul palco della band.