Torniamo indietro nel tempo, quando non c’erano i SUV, non c’erano i Crossover, non c’erano le monovolume e, nemmeno le utilitarie ― queste ultime stavano nascendo ma non era stata ancora coniata la loro denominazione. Siamo nei primi anni ’80: l’Europa, dopo anni di rinascita e sviluppo, tra crisi energetiche e conflitti politici, era ancora in piena crescita.
In Italia le famiglie erano passate dalla Lambretta, alla 600 unica auto per tante famiglie, per poi permettersi la seconda auto, la 500, a cavallo tra gli anni ’60 e ’70; intanto dalle campagne ci si spostava nelle città, trafficate, disordinate e in molti casi con centri storici medievali, troppo angusti per veicoli dalle dimensioni importanti.
Era ancora il terreno ideale per la cara vecchia 500 le cui rotondità, tuttavia, faticavano a risultare attuali ma allo stesso tempo la piccola torinese era ancora troppo giovane per essere consacrata come l’icona che celebriamo oggi.
“Sì, la 500 era rotonda, figlia delle linee degli anni ’50 in cui la razionalizzazione dei volumi non era il criterio principale di progettazione”.
Dopo poco più di vent’anni dello stile classico della 500 di Dante Giacosa in Fiat rimase molto poco, quando l’azienda decise di progettare una moderna utilitaria: con quali requisiti?
Un’auto piccola, generalmente acquistata dalle famiglie che già possedevano una prima vettura, sufficientemente comoda per gli spostamenti quotidiani in città, ma in grado di portare i figli al mare o i nonni in montagna. Doveva costare poco ma essere intelligente e innovativa: dal suo stile si doveva subito percepirne l’essenza.
A capo della progettazione della Panda il designer del XXI secolo, Giorgetto Giugiaro: un progettista esterno all’azienda per un progetto fresco, fatto di materiali plastici per i paraurti e le fiancate, con l’obbligo di usare vetri piatti. Altra caratteristica distintiva della Panda. Giugiaro giudica la Panda come un esempio delle capacità degli italiani:
“bravi a fare molto, con poco”.
Era snob, inizialmente più acquistata da persone che apprezzavano l’essenzialità, il “poco”, piuttosto che da persone che poco avevano; infatti i primi clienti furono proprio imprenditori, ingegneri, architetti che affiancavano la Panda a mezzi più ricchi e rifiniti.
“Ma il vero lusso nella Panda è proprio nella capacità di eliminare il superfluo. Il lusso dell’understatement, il potersi spostare in modo non imbarazzante, livellati tra classi sociali, come forse solo la 500 e il Maggiolino sono riuscite a fare”.
Passati quasi quarant’anni, il modello è stato sostituito e solo oggi ci si accorge di quanto quel progetto fosse moderno ed efficace: ecco quindi il Panda Raid, il raduno Panda a Pandino e la campagna “Save the Panda” ispirata a quella voluta dal WWF.
La Fiat Panda, con la 4×4 ad aprire la strada, sta conquistando il suo meritato spazio tra le icone di design automobilistico. Ma quando un’auto diventa icona? Non parliamo della Ferrari F40, della McLaren F1 o della Mercedes 300 SL “Ali di gabbiano” ― queste sono immediatamente divenute icone.
Perché quindi la prima Panda ― tra l’altro recentemente esposta a Car Basel in mezzo ad altri capolavori del car-design ― prodotta in cinque milioni di esemplari non deve meritarsi uno spazio tra le icone del design?
“In fondo, anche lei è un’utilitaria: semplice, economica, trasversale. Perché la 500 sì e la Panda no?”
Solo perché le forme squadrate della seconda sono meno rassicuranti delle rotondità della 500? La sua squadrata razionalità per ottenere il massimo spazio interno nel minimo ingombro esterno è uno dei suoi valori che oggi apprezziamo, fortemente voluto da Giorgetto Giugiaro: un nome, una garanzia.
Un grande progettista che ha creato alcune tra le più belle auto ― Maserati, Alfa Romeo, Lotus, Lamborghini ― ma che il maggior successo lo ha trovato nelle piccole e medie vetture tra cui la prima VW Golf, la Fiat Uno, la Punto (prima e seconda serie), la Daewoo Matiz e, appunto, la Panda, per cui venne insignito del Compasso d’Oro ADI nel 1980.
Da una base ben riuscita si concepì un modello inedito, oggi divenuto un vero e proprio segmento di mercato: i cosiddetti mini-SUV.
“All’epoca i SUV non esistevano, c’erano ancora i fuoristrada, così la Panda 4×4 fu il primo mini-fuoristrada”.
Per molti fu una declinazione snob per distinguersi dai possessori delle versioni normali, invece la Panda 4×4 si confermava la vettura “trasversale”, pensata per dare un mezzo comodo agli abitanti delle zone di montagna, ma presto scelta dai cittadini come seconda auto per andare in montagna nel weekend.
La trazione integrale inseribile progettata dall’azienda specializzata svizzera Steyr-Puch fu installata sulla piccola e leggera utilitaria trasformandola in uno stambecco che non si fermava davanti a nulla.
Era rivoluzionaria nella sua semplicità: mai prima una 4×4 si era così miniaturizzata e civilizzata. Chi necessitava di una trazione integrale non doveva più indirizzarsi per forza su Land Rover Defender o su Mercedes GL: con i suoi quarantotto cavalli, le ruote strette e un peso piuma, la Panda 4×4 ha spianato le montagne per molti automobilisti (come Enrico, nella foto qui sotto).
Con queste caratteristiche, la Panda ― e la 4×4 in particolare ― è stata una best seller per molti anni sia in Italia che in Europa. Le prime Panda, quelle originali, prodotte fino al 2003 sono talmente comuni tra le nostre strade da diventare parte del territorio.
E, nonostante tutto, dopo quarant’anni capiamo il valore di quest’auto: un tassello quadrato ― non a caso ― che ha cambiato la visione del progetto automobilistico, motivo per cui si merita di diritto un posto tra le grandi icone del design.