L’auto della notte

Author Enrico Rondinelli contributor
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Calendar 06/11/2017
Time passed Tempo di lettura 3 min

Campagna di Bologna, fine anni ’50. Poco più di dieci anni prima quelle zone erano stati i territori più caldi durante la fine della Seconda Guerra Mondiale: per mesi gli scontri tra le forze alleate e quelle tedesche si sono consumati tra gli appennini e le campagne dell’Emilia Romagna, non senza distruzione, miseria e morte.

Più che in altre regioni, gli anni ’50 hanno rappresentato per gli emiliano-romagnoli un periodo in cui ritrovare la spensieratezza, la voglia di riscoprire l’allegria che per troppi anni era mancata. Se Bologna risultava ancora distrutta dai bombardamenti e faticava nella ripresa, le zone rurali erano state meno meno segnate, e mostravano una maggiore voglia di emancipazione:

“Proprio qui ― nella frazione di Molinella ― Raffaele, figlio di proprietari terrieri, bolognese poco più che ventenne guardava con entusiasmo al futuro, tra amici, belle ragazze e serate al mare”.

Un bel ragazzo di buona famiglia, non poteva non sfoggiare una bella auto: l’Alfa Romeo era certamente il massimo che un giovane potesse desiderare. Marchio sportivo, vincente in Formula 1 e nelle più importanti competizioni internazionali, con una storia alle spalle di oltre 40 anni.

Nulla poteva nei suoi confronti la giovane azienda Ferrari, una piccola che, pur crescendo bene e velocemente, produceva auto sportive in numero ridotto, grazie all’esperienza maturata dal suo fondatore ― Enzo Ferrari ― che negli anni precedenti aveva portato al successo le Alfa Romeo nelle competizioni con l’omonima scuderia.

A Million Steps

La Lamborghini non esisteva ancora, la OSCA era una bolognese ma produceva auto da corsa, la Maserati era certamente importante ma molto costosa, e la Lancia si indirizzava a una nicchia estremamente signorile di età più adulta; tra le auto straniere si potevano trovare certamente modelli interessanti ed esotici, ma per palati fini e portafogli capienti.

Insomma, l’Alfa Romeo era l’auto adatta ad un giovane in cerca di una bella auto, sportiva, per uso quotidiano. Così Raffaele ricevette in regalo dalla sua famiglia una nuova Giulietta Sprint, tipicamente rossa, con la quale scorrazzava tra le sue campagne di giorno e di notte; la linea di Bertone era straordinariamente moderna, elegantissima ed efficace anche nell’uso agonistico.

Ancora oggi le sue linee rappresentano lo stato dell’arte della casa milanese che adottò il celebre motore bialbero, vestendolo della carrozzeria torinese con cui aveva già realizzato alcuni modelli importanti.

Certamente bella, con quattro posti all’evenienza, ma le ragazze del paese avrebbero notato più facilmente un ragazzo con una decappottabile. Ecco allora che nel 1959 Raffaele si reca presso un rivenditore dove aveva notato quella Giulietta Spider esposta in vetrina: bianca con gli interni rossi.

“Cosa volere di più? Magari la versione con il doppio carburatore, la Veloce”.

La bella spider non era come la maggior parte di quelle che si vedevano in giro, ma il doppio carburatore ― appunto ― uno scarico più sportivo e un motore più “spinto” rispetto alle comuni Sprint o Spider.

Modifiche che non balzavano subito all’occhio, ma gli esperti sapevano quante erano poche le Veloci in circolazione: costavano molto più delle altre, ma nelle scorrazzate notturne la differenza si sarebbe vista eccome.

Poco importava se l’auto era di seconda mano (probabilmente il venditore era stato abbastanza abile da nasconderlo); dopo una rapida trattativa per la permuta e la differenza, al posto che con la Sprint rossa, Raffaele tornò a casa a bordo della Spider Veloce bianca.

Questa era un’auto speciale, non la si poteva usare a cuor leggero come la Sprint: durante il giorno rimaneva parcheggiata in un’apposita rimessa in cascina sotto un telo, sostituita da una più pratica e meno appariscente Fiat Topolino Belvedere; poi all’imbrunire fuori una e dentro l’altra.

Dritti in centro in paese al bar, dove passavano svariate auto, ma nessuna Spider Veloce. Una volta che tutti erano arrivati iniziavano “le corse” da un paese all’altro: l’ultimo che arrivava, pagava il gelato per tutti. Questo era il modo di divertirsi.

La Giulietta però permetteva anche trasferte più lunghe, fino a viale Ceccarini a Riccione per esempio; su quella elegante decappottabile le ragazze salivano da sole, non c’era nemmeno bisogno di invitarle. Sarebbero stati utili i quattro posti della Sprint da tante erano.

“Spesso ci si stringeva per sedersi in tre in fila, e la ragazza in mezzo sapeva già che ogni cambiata sarebbe stato un pretesto per sfiorare la coscia”.

Prima dell’alba, dritti a casa: la Giulietta tornava in garage dove al mattino il custode l’avrebbe lavata e preparata per un’altra serata brava, sempre rigorosamente a capote abbassata, per salire e scendere facendosi scivolare sul sedile senza aprire la portiera, come James Dean.

Per Raffaele arrivò il momento del matrimonio e la Giulietta divenne fedele compagna di viaggio di nozze in Spagna, equipaggiata con un tetto rigido nero e con un portapacchi posteriore, necessario per una lunga trasferta.

Separati per oltre 40 anni, Raffaele e la sua Giulietta si sono finalmente ritrovati e la scintilla è riscoccata esattamente come in quell’autosalone di Bologna: stesso motore con quel suono inconfondibile grazie ai carburatori Weber doppio corpo, stesso scarico rumoroso che conferisce quasi 100 cavalli ― potenza incredibile per un’auto degli anni ’50 ―, stessi segni particolari che solo loro due conoscevano, come un linguaggio in codice. Emozioni che solo le auto sanno regalare.

Foto e video di Gianni Mazzotta
redits

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