La lettera di benvenuto dal redattore

Author Matteo Todisco editor
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Calendar 07/09/2016
Time passed Tempo di lettura 3 min

Caro lettore,

 

questo è il classico spazio in cui il responsabile di una rivista prende la parola e, solitamente, viene a raccontarti le motivazioni che risiedono dietro l’idea di far nascere un magazine, e forse anche il perché dovresti andare a leggere tutti gli articoli presenti in archivio.

Non sarà un pezzo di questo tipo.

Primo, perché ho ventott’anni e mi annoierei a leggere un articolo istituzionale del genere, e poi perché qui in redazione nessuno si immagina di imporre nulla di preciso, né tantomeno dare qualche lezione di vita.

Farei più un pezzo in cui ti racconto come sono arrivato qui, come piano piano sono entrato nelle grazie di Velasca, e di come bisogna continuare a spingere ― perseverare e provare ad avere una visione di insieme (Larry David è sempre nei miei pensieri).

Mi chiamo Matteo Todisco, sono nato a Milano e, a cavallo tra la seconda e terza media, mi sono messo in testa che avrei fatto l’inviato speciale. Quel tipo pagato dalle redazioni (una volta succedeva, oggi costa troppo) col microfonino in mano per girare il mondo, e raccontarti in un servizio da un minuto ― due al massimo ― cos’era successo il giorno prima. “Sempre meglio che lavorare. Il mestiere del giornalista“, con parole non mie.

Ecco, se la cosa ti sembra molto già sentita e noiosa, posso dire che non ho né mai fatto TV né sono diventato un reporter di qualsiasi tipo. La strada è molto più larga.

Saltando i lunghi periodi di collaborazioni e stage in realtà giornalistiche, decido di dare a tutta questa cosa un nome, e partire per l’Australia ― precisamente a Brisbane, nello stato dove splende sempre il sole (Sunshine State) ― per farmi due anni di scuola di giornalismo.

Esperienza fondamentale dove, al di là del tanto surf, riesco a ottenere uno stage nella radio nazionale australiana ― dove provo per la prima volta cosa vuol dire fare radio e lasciare la tua vita in mano loro; non esistono orari, è pura devozione alla causa ― e mi appassiono sempre più alle storie cosiddette “lifestyle”.

Torno a casa e provo a fare il mio mestiere. La crisi editoriale non aiuta, e forse l’editoria sta attraversando un periodo troppo complicato. In questo ambiente, decido che devo provare a smuovere qualcosa.

Fondo allora Pine & Tree, un marchio nato dall’amore verso l’artigianato italiano e la cultura surf ― che per me era fortemente di matrice australiana ― da usare come palestra per imparare le basi di mestieri come online marketing, pubbliche relazioni, fotografia e copywriting.

L’idea era apportare un concetto molto semplice: realizzare a mano delle tavole in legno molto piccole ― i minicruiser skate ― grazie all’ingegno e l’esperienza di un amico falegname, utilizzando materiali di pregio, soliti all’arredamento d’interni. La cosa ha funzionato e questa piccola realtà mi ha permesso di conoscere ed entrare in molte delle redazioni internazionali e locali che ho sempre visto da lontano. Perché alcuni di loro hanno iniziato a parlare di quello che stavo facendo.

Quell’anno è arrivato in concomitanza con la voglia di Ludovico Bertè ― futuro direttore artistico di Velasca, nonché diretto avversario di basket per anni nelle giovanili ― di realizzare dei corti sull’artigianato in Italia. Si propone di filmare il modo in cui realizziamo le tavole in falegnameria. La relazione con la startup ha dunque un inizio.

Il video diventa il mio principale canale di marketing, e Ludovico entra a Velasca come primo dipendente assunto dopo i due cofondatori. Una tavola entra nel loro primo Temporary Shop di via Tortona prima, e poi nella Bottega di Piazza Sempione a Milano.

Nel frattempo mi sposto a Berlino, per iniziare la carriera nelle startup ― avevo scoperto che cercavano giornalisti per scrivere dei loro contenuti. In Germania ci rimango un anno, in cui cambio due startup e, fondamentalmente, capisco che non stavo andando nella direzione in cui mi immaginavo di poter andare. Stavo perdendo la visione di insieme.

Ricordo bene il giorno in cui mi sono licenziato ― è stata la prima volta, una sensazione strana ― e di aver preso la metro da Kreuzberg verso casa a Mitte e di aver notato da cellulare la nuova campagna Velasca con quella tavola. Scrivo a Ludovico e gli comunico che sto per tornare in Italia per lavorare a qualcosa in cui credere. Una sera ci vediamo in falegnameria, e mi dice:

“Non metterti a cercare perché
Enrico vuole uno come te”.

Dalla prima chiacchierata con Enrico Casati ― uno dei due cofondatori di Velasca ― ho capito che potevo scrivere di tutto un mondo associato al lifestyle che condividevo con loro. Le storie attorno all’italianità, i dietro le quinte e i valori su cui la startup si basava andavano raccontati. C’era la possibilità di metter su un magazine online, con la previsione di passare alla carta, e aprirlo ad altri collaboratori che gravitavano attorno al marchio.

“Erano almeno due anni che pensavamo di aprire una nostra rivista, benvenuto”.

La mattina del lunedì la redazione si riunisce per il ‘Caffè creativo’, appuntamento a cadenza settimanale dove il team discute di cosa parlare nei giorni a seguire, come la comunicazione che tutta Velasca vuole tenere negli altri canali. Ho passato mesi tedeschi a sentirmi parlare di “startup culture”, senza averla mai realmente vissuta in prima persona. Non basta usare gli slogan; bisogna lavorare insieme per crearne una.

Ed è quello che si cerca di fare qui, servendosi della rivista come braccio di quell’idea iniziale di un made in Italy alla portata dei più, e che sia in grado di raccontare una storia. Benvenuto a te.

Matteo Todisco
Redattore di A Million Steps

Foto in apertura di Velasca
redits

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