Ma tutti mi chiamano Giorgio

Author Beatrice Manca contributor
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Calendar 20/05/2019
Time passed Tempo di lettura 3 min

1977, Hansa Studios, Berlino. In uno studio di registrazione, Brian Eno ascolta un pezzo stranissimo: una voce di donna accompagnata da un sintetizzatore, una cosa mai sentita. A David Bowie, che lavorava con lui, annuncia:

“Ho sentito il suono del futuro”.

Il brano che aveva ascoltato ― ‘I Feel Love’ ― l’ha composto un italiano cresciuto all’ombra delle Dolomiti: Giorgio Moroder, il padre della disco music.

‘Take my breath away’ dei Berlin? Sua. ‘Call me’ dei Blondie? ‘What A Feeling’ di Irene Cara? Sua anche quella. Come compositore e come produttore, Moroder ha attraversato trent’anni di musica, dai primi esperimenti in consolle negli anni ’60 fino alle cerimonie d’apertura dei Giochi olimpici: in mezzo tre premi Oscar, quattro Grammy e quattro Golden Globe.

Anche la sua biografia più famosa è in musica: una chiacchierata a Parigi, registrata con tre microfoni e sapientemente remixata dai Daft Punk. Nove minuti che si aprono con un monologo diventato famosissimo:

“Sapevo che poteva essere veramente il suono del futuro, ma non avevo capito l’impatto che avrebbe avuto. Il mio nome è Giovanni Giorgio… ma tutti mi chiamano Giorgio”.

Partito da Ortisei, in provincia di Bolzano, per seguire il sogno di fare musica lascia la scuola e scavalca le montagne ― letteralmente. Arriva prima a Berlino, poi a Monaco.

La sua bacchetta magica, capace di creare quel suono futuristico, è il sintetizzatore Moog, all’epoca grande come un armadio. Il synth cambia per sempre la musica, il nuovo ritmo invade i club e trascina le persone in pista: è la disco, che definisce il decennio anche nello stile.

Sono gli anni del luccichio delle stroboscopiche, delle scollature esagerate, delle paillettes. Gli anni ‘70 non sono stati solo zeppe e pantaloni a zampa: nei club si portano completi scivolati dai colori sfacciati, chiome fluenti e tonnellate di gioielli.

A Million Steps

Le giacche si indossano rigorosamente a pelle ― uomini e donne ― come insegna Bianca Jagger. Gli uomini si fasciano in pantaloni attillatissimi e sbottonano le camicie.

Moroder non fa eccezione: viene fotografato in completi bianchi ― dalla giacca alle scarpe ― con giacche di camoscio e camicie iridescenti, sempre aperte.

Porta gli occhiali da sole a goccia, con le lenti a specchio e i baffi a manubrio. Due elementi che diventano il suo marchio di fabbrica: anni Settanta che più Settanta non si può, Moroder continua a sfoggiarli con stile per i trent’anni successivi. C’era una nuova sensualità, un’onda che libera i corpi dalle etichette e oltrepassa i generi.

“La disco è stata un fenomeno non solo musicale, ma anche di costume con la gente che si vestiva in un certo modo e l’affermazione del movimento gay che prima di allora era nascosto ― ha raccontato in un’intervista a Repubblica ― Con ‘Love to Love You Baby’ e ‘I Feel Love’ si sono sentiti liberati”.

La rivoluzione sessuale aveva raggiunto l’apice e si stava affermando l’orgoglio afro, che contagia la moda con la permanente e stampe audaci. Nessuno meglio di Donna Summer può interpretare quell’onda di edonismo sfrenato: il loro incontro, nel 1974, ha cambiato la vita di entrambi. Lui ha lanciato la sua carriera, lei ha prestato la voce a hit come ‘Love To Love You’. Nella stessa intervista, Moroder ha raccontato la storia di quel brano:

“Io le ho detto: ‘voglio fare qualcosa di veramente sexy e ho in mente un titolo’. Siamo andati in studio e la questione era che Donna avrebbe dovuto simulare un orgasmo. Lei però non se la sentiva e allora ho buttato fuori tutti, compreso il marito. E c’è riuscita”.

Il resto è storia della musica. Moroder, che non ama ballare, ogni tanto si intrufola nei club per vedere se i suoi pezzi funzionano anche in pista, se creano il mood giusto.

A Million Steps

Allo Studio 54, quello delle feste più pazze di New York, c’è andato una sola volta. Negli anni ‘80 firma le colonne sonore di film leggendari: ‘Top Gun’, ‘Flashdance’, ‘Scarface’, ‘La storia infinita’ e ‘American Gigolò’. Per David Bowie scrive ‘Cat People’, per Freddie Mercury ‘Love Kills’. Il suo sound è inconfondibile, è il Re Mida della consolle, qualunque cosa tocchi ― anche le musiche per le Olimpiadi ― diventa oro.

Nel 2015 torna in classifica con Deja-vu, un disco che è una parata di stelle: c’è Britney Spears, c’è Kylie Minogue, ci sono anche Sia e Charlie XCX, che sarebbero esplose di lì a poco. Un paio d’anni dopo lo ritroviamo al Festival di Sanremo per presiedere la Giuria di qualità: è il 2017, l’anno di Francesco Gabbani.

A 79 anni non ha assolutamente intenzione di fermarsi, anzi, è in giro per l’Europa con un tour, A Celebration of the 80’s. I suoi, ma anche la decade di successi musicali. I baffi saranno ingrigiti, lo spirito sicuramente no.

Foto d’apertura di Sebastian Kim/August/Contrasto e foto nel testo di Camera Press/ERMA/Contrasto e di Courtesy Everett Collection/Contrasto
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