1980.All’alba del nuovo decennio tutti gli schermi del mondo proiettano American Gigolò, pellicola firmata Paul Schrader e destinata a divenire vero e proprio cult grazie al preziosissimo apporto di ciò che, più di qualsiasi altra sfera della cultura popolare, sa meglio definire un’epoca: l’abbigliamento.
«There you were beautiful
The promise of love was written on your face
You led me on with untrue kisses
Oh, you held me captured in your false embrace»
Nella propria camera da letto, canticchiando sinuoso sulle note di Smokey Robinson and the Miracles, Julian Kay prepara con meticolosità la propria line up di vestiti: è la nascita del divo Richard Gere e, soprattutto, del mito Giorgio Armani.
Sorta di fashion performance e vera e propria lezione di stile, questa breve sequenza fa sfilare davanti ai nostri occhi un vero e proprio uomo-mantra sia del personaggio cinematografico – un aitante e ambitissimo gigolò – sia del designer nascosto dentro le cuciture dei suoi sensuali completi: è l’abito che fa l’uomo.
Come osserva giustamente Christopher Laverty, stimato scrittore di moda:
«American Gigolò non parla del suo protagonista, ma di quello che indossa. American Gigolò parla di Armani»
Esordiente davanti alla macchina da presa, il “Re del Blazer” Giorgio Armani andava allora prendendosi la scena quale volto protagonista della rivoluzione prêt-à-porter, scardinando sin dalla sua prima collezione (1975) le regole del fashion al tempo vigenti e minando alle fondamenta il primato della londinese Savile Row nel campo della sartoria maschile.
È dunque palese come, sin dal quella memorabile scena, gli inconfondibili abiti dello stilista (di origine piacentina, di cuore meneghino), siano chiamati a ricoprire il ruolo di indiscussi protagonisti, al pari del loro affascinante e scultoreo indossatore.
Negli anni dell’edonismo reaganiano, degli yuppies rampanti che invadono le strade di Manhattan, il Julian di Richard Gere incarna alla perfezione quel cambiamento di usi e costumi che porta gli uomini a prendersi maggiormente cura della propria apparenza, coltivando e modellando personalmente il proprio stile, al fine di renderlo un biglietto da visita immediato ed appetibile.
Quello che viene ad instaurarsi tra l’uomo e l’abito è un legame simbiotico: Julian non indossa semplicemente dei vestiti, egli indossa i suoi vestiti, i suoi completi meticolosamente studiati e matchati.
«In quanto attore, Richard era più interessato al personaggio che ai vestiti, ma per me vestiti e personaggio erano una cosa sola. Voglio dire, questo è un tipo che si fa di coca per decidere cosa indossare.»
Riflettendo sul film a distanza di anni dalla sua realizzazione, Paul Schrader centra in pieno il nocciolo della questione: la scelta dell’outfit da parte di Julian rappresenta un vero e proprio rituale di vestizione, una performance tout court il cui esito – ogni volta differente, ogni volta memorabile – necessita della “giusta” carica mattutina.
«Nessuno indossa Armani come Richard Gere.»
Leggenda vuole che Armani sia rimasto così abbagliato dalla prestanza e dallo charm dell’attore da garantirgli che non avrebbe mai più dovuto pagare per un suo abito. Dopo tutto, come dichiarato dallo stesso stilista.
«Richard Gere è l’eleganza personificata: un uomo Armani, sullo schermo e nella vita»
Sebbene per il ruolo fosse stato inizialmente scritturato John Travolta, oggi ci risulta praticamente impossibile immaginare Julian Kay con una personalità e una fisicità – tanto mascolina quanto pulita – diverse da quelle di un giovane Richard Gere in stato di grazia.
Riposti in soffitta i rigidi completi dei decenni precedenti – quelle giacche scure ed abbottonate, simbolo di una generazione di uomini d’affari quadrati, autorevoli e seriosi – American Gigolò dà il benvenuto ai colori pastello, all’emblematica giacca destrutturata e al doppiopetto firmati G.A., a tessuti che non siano più costrittivi, ma che cadano morbidi sui corpi maschili, valorizzandone le forme: gli uomini di tutto il mondo sognano una drastica rivoluzione del proprio guardaroba, costruendo il nuovo sé a immagine e somiglianza dell’icona – intramontabile – Julian Kay.
E ancora oggi, a distanza di quasi quarant’anni dall’uscita del film, l’“American Gigolo suit” rimane uno dei grandi protagonisti della moda maschile. Merito in primis del suo creatore, questo è indubbio, ma probabilmente anche della folgorante armonia venutasi a creare tra l’artista e il suo modello. Prendendo in prestito le parole del regista Oren Moverman:
«Se Richard Gere non fosse esistito, Armani avrebbe dovuto inventarlo»