Come perdersi in un bicchiere di gin

Author Valeria Di Terlizzi contributor
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Calendar 23/09/2019
Time passed Tempo di lettura 5 min

Il gin torna ad essere protagonista (anche) a Milano. È successo lunedì 9 settembre a “Made in Italy”, l’evento ideato e realizzato da Gino12 per celebrare il gin e il suo cocktail più famoso, il Gin Tonic, nati dal savoir-faire italiano. Oggi si contano oltre 130 etichette di gin italiano – chi lo immaginava! – all’evento, erano venticinque i produttori selezionati che hanno fatto scoprire al pubblico i loro gin totalmente Made in Italy: tra racconti di erbe officinali e chicche storiche, io ho scoperto anche un mondo.

Appena entrata sono stata avvolta da un’atmosfera un po’ swing, un po’ hipster, con musica jazz di sottofondo. Ho osservato le bottiglie di gin disposte sul tavolo di ogni produttore: bottiglie colorate, luccicanti o dai toni pastello, che in qualche modo rispecchiavano lo stile dei loro creatori. Ho camminato qualche minuto per prendere confidenza con l’ambiente e con i produttori presenti, tutti espertissimi, tutti con storie incredibili – piccolo spoiler – che avrei ascoltato per ore.

Qualcuno forse mi direbbe “è il gin, amica”.

Il mondo è un Ginepraio. Il gin, anche.

Mi avvicino allo stand di Ginepraio, che mi attira con le sue bottiglie chiare, pulite, essenziali. Ad accogliermi trovo Fabio, un ragazzo dagli occhi sorridenti che non vede l’ora di farmi scoprire il suo mondo. “Il gin è tornato ad essere un trend” mi spiega in modo pacato, come se mi stesse rendendo partecipe di un racconto “ma non tutti forse ricordano che 15, 20 anni fa, era percepito male. Negli anni ’90 il gin era considerato davvero un alcolico di terza serie, poi qualcosa è cambiato: qualcuno si è messo a rifarlo bene, e così è rifiorito tutto il settore”.

A Million Steps

Gli chiedo, curiosa, se il gin buono sia facilmente reperibile in commercio o se invece sia appannaggio di una “classe”, quella degli intenditori: “Quelli che oggi trovi sul mercato, spesso, sono gin di qualità. Poi ovvio, se sei un esperto ti piace anche cercare la distilleria di nicchia, il produttore super artigianale, ma bere un buon gin è molto più semplice adesso che in passato”. Merito dei nuovi trend del biologico, di una materia prima artigianale, di altissima qualità e – elemento mai trascurabile – del packaging. Me ne accorgo osservando le bottiglie presenti nello stand: hanno una forma pulita, lineare, che nel mio immaginario richiama qualcosa. “Abbiamo studiato il packaging per due anni, insieme alla ricetta del gin. La forma che vedi ricorda una flebo come omaggio alle origini del gin, che nasce alla fine del ‘700 in Olanda come medicinale per curare i reni. Volevamo raccontare questo aspetto originariamente “curativo” del gin anche attraverso la sua confezione” mi spiega Fabio.

Una ricerca, quella di Ginepraio, che si riflette anche nella qualità degli ingredienti, tutti biologici – a partire dal grano – tutti Made in Italy. Per dirla con le parole (tecniche) di Fabio: “Usiamo un blend di ginepri perché facendo ricerca sul pH dei terreni abbiamo capito che si può parlare di terroir non solo per i vini, ma anche per il gin”. In questo caso la Toscana, tra il Chianti, la Maremma e la Valtiberina.

Gin su polvere da sparo.

“Descrivimi il vostro gin più originale” (ora sono gasata, non mi ferma più nessuno):“Sicuramente l’Amphora Naviy Strenght, il primo Naviy Strenght italiano, che riprende la storia della marina militare inglese. Era prassi, fino al 1970, pagare i marinai con una razione giornaliera di gin o di rum. Per non essere fregati ed essere certi che il distillato non fosse annacquato, i marinai prendevano la polvere da sparo e lo buttavano sopra; se aveva almeno 57 gradi prendeva fuoco, altrimenti facevano ammutinamento”. Io vorrei che questo momento non finisse mai. “L’Amphoracontinua Fabio dopo questa storia assurda che mi ha ricordato Hook Capitano Uncino “è il primo gin al mondo ad essere invecchiato in anfora, parliamo di un’anfora di 370 litri. Lo teniamo lì per 6 mesi, lo tagliamo a 58 gradi, poi il distillato si ammorbidisce e prende mineralità”.

A Million Steps

Non so se sia merito del racconto o dell’atmosfera, ma il gin che mi fa assaggiare Fabio è davvero buono: intenso, aromatico, equilibrato in un ogni sua sfumatura. A questo punto la domanda è d’obbligo: “Secondo te qual è il cocktail più famoso con il gin?” – “Senza dubbio il Martini Cocktail: prendi il gin, il vermouth e con questo fai il cosiddetto in&out, nel senso che ci “sporchi” il ghiaccio e lo togli, poi prendi la classica coppetta ghiacciata, un’oliva o una scorza di limone, e il gioco è fatto. Non dimenticarti della coppetta ghiacciata: è il segreto per gustarlo meglio”.

Terra, mare e gin.

Ancora inebriata dal racconto di Ginepraio, mi lascio incuriosire dal colore del mare che spunta da una vaschetta di vetro: sono le bottiglie di Insulae, un gin prodotto interamente in Sicilia grazie all’idea di Alfredo e di Marco, due giovani palermitani che hanno fondato l’etichetta proprio quest’anno. Parola d’ordine: Sicilia, in tutte le sue sfumature ma soprattutto in tutti i suoi profumi. “Le nostre botaniche sono agrumate e balsamiche proprio per rispecchiare i profumi della Sicilia, insieme ad una nota pepata e ad una floreale” – “Fammi un esempio” – “Limone di Siracusa, arancio amaro e dolce di Catania, mandarino tardivo di Ciaculli, pistacchio di Bronte, mandorla d’Avola, sesamo di Ispica: li trovi tutti nel nostro gin”.

A Million Steps

Non me lo faccio dire due volte, e assaggio: è un gin fresco, è un’esplosione di agrumi, è il mare della Sicilia e il sole d’estate. È l’aria frizzante a cui non sai dire di no. “Volevamo far assaggiare un territorio, volevamo che aprendo la bottiglia i nostri clienti avessero davanti agli occhi l’immaginario del mare. Abbiamo provato a costruire una storia, la vedi anche nei tre colori dell’etichetta: cielo, terra e mare. Considerando che l’etichetta esiste da meno di un anno, non posso che complimentarmi con i due ragazzi. “Abbiamo seguito un trend ascendente, quello del gin e delle etichette legate ai territori. Il nostro è la Sicilia, abbiamo preso tutte le sue botaniche, le abbiamo dosate e abbiamo ottenuto quello che per noi è il gin definitivo. È stato un grande lavoro di ricerca”.

Il segreto è l’acqua di mare.

Se voleste brindare con un cocktail a base di gin quale scegliereste?” gli chiedo divertita (questo mondo mi piace sempre di più) – “Il gin tonic. Con una tonica amara è perfetto. Poi ovviamente ci sono tante varianti, una semplice è il Gin Sour, con il succo di limone fresco. Il sapore dipende molto dal tipo di gin, nel nostro caso il Sour esplode, diventa qualcosa di super profumato. Pensa che noi usiamo spesso l’acqua di mare, che grazie alla sua sapidità permette al palato di percepire le botaniche all’interno del gin, di farle esplodere”. Non vedo l’ora di provarlo.

Quando i pirati avevano paura dei genovesi.

Il mio viaggio tra i sapori del gin mi porta su un’altra terra bagnata dal mare, questa volta la Liguria, più precisamente Genova. Di Genova, infatti, sono i ragazzi di Ginuensis, il primo gin genovese, prodotto con la selezione di nove botaniche. Un inizio legato alla passione per la bevanda alcolica, i primi passi con il classico “porta a porta”, il sogno che diventa realtà, e viene imbottigliato. “E’ stato un omaggio ai rapporti che Genova aveva con i mercati esteri” mi spiega Francesco“Lo sai che la bandiera genovese è stata data in adozione agli inglesi?”. No, ma voglio sapere tutto. “La flotta genovese era la più rinomata, le navi inglesi erano invece le più attaccate, quindi la regina inglese decise di chiedere al doge di Genova di poter utilizzare la bandiera genovese per non farsi attaccare dai pirati”. Stasera potrei scrivere un libro; intanto, chiedo altri dettagli. “L’etichetta è stata prodotta interamente a mano da un calligrafo, e poi digitalizzata”. Non resta che assaggiare.

A Million Steps

Dopo il primo sorso il Gin Ginuensis è intenso, se mi fermo un attimo e aspetto arrivano anche i sapori agrumati, poi quelli più caldi. “Quella è la mandorla, che insieme al lime kaffir, un agrume orientale, lo rende aromatico e persistente”. “Perché proprio il lime kaffir?” – “Per rendere omaggio ai commerci dell’epoca. Per unire mondi lontani. Per raccontare una storia e farne parte”.

Esattamente quello che ho provato io, anche se per poche ore: far parte di un mondo dove i protagonisti sono la passione e la ricerca, tutto Made in Italy, dove occorrono coraggio per creare e cultura per apprezzare. Un mondo dove i sapori più originali nascono anche da un pizzico di follia. Perché, in fondo, il vero gin è anche questo.

Foto d’apertura e foto nel testo di Gino 12 Milano e dagli scatti della nostra Valeria Di Terlizzi.
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