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Da Giannasi prendevamo il pollo più buono e lo prendevano i nostri genitori. La sera, passare da quel piccolo chiosco premiava qualsiasi giornata di lavoro. Giannasi è sempre lì, vicino a Porta Romana a Milano, dal 1967; ha attraversato i decenni passando da semplice polleria a tempio della gastronomia meneghina, diventando praticamente un brand.
Tutto è iniziato quando il patron Dorando Giannasi, assieme alla sorella, ha iniziato a lavorare in un’attività nel quartiere di Lambrate. Era il 1959 e lui aveva quattordici anni.
Un’unica certezza: il suo pollo allo spiedo rimane il più noto del capoluogo lombardo, anche se da allora di cose ne sono cambiate parecchie. Un esempio? Cinquant’anni fa la clientela era totalmente femminile mentre oggi è composta in gran parte di uomini. Ho intervistato Dorando Giannasi, re milanese del pollo allo spiedo, un uomo dallo stile dandy e l’animo semplice, che custodisce una Milano che non conosciamo più così tanto.
Comunque poi, immaginerete, mi è venuta fame.
Ciao Dorando, nasci in Emilia Romagna. Quando sei arrivato a Milano?
Sono nato nel 1945 nell’Alto Appennino Reggiano, nel crinale tra la Toscana e l’Emilia. Nel 1959, una sorella più grande di me emigrò a Milano per fare la domestica presso una famiglia che aveva una polleria nel quartiere di Lambrate. Dopo qualche tempo le chiesero di fare la commessa nell’attività alimentare. Non passò molto che, a quattordici anni, andai a lavorare anche io in quella polleria. Furono sempre persone meravigliose con noi, ci trattavano come figli ed eravamo molto affezionati ai signori Muccioli.
Come avvenne la scelta della location, nel mitico chiosco con la scritta Giannasi che tutti i milanesi conoscono?
Ristrutturammo questo chiosco, di proprietà del Comune di Milano, che fu costruito tra le Due Guerre e in cui si vendevano frutta e verdura a prezzi calmierati. Era il 1966 ed era chiuso da tempo, ci venne concesso l’utilizzo. Nel maggio del 1967 partì l’attività di polleria che nel tempo ci ha dato così tante soddisfazioni.
Milano è la città italiana che più di tutte corre veloce, creando e inseguendo mode. Come si è evoluta nel tempo la polleria?
Inizialmente eravamo pollivendoli, vendevamo carne cruda di pollo ma anche selvaggina. Le rosticcerie erano pressoché inesistenti; nella stragrande maggioranza dei casi la gente acquistava per poi cucinare a casa propria. Non c’era l’abitudine così diffusa del mangiare fuori e tanto meno di acquistare cibo pronto per essere consumato. La clientela era esclusivamente femminile, gli uomini non facevano la spesa. Per molti anni questa è stata la norma, poi, a poco a poco, ci siamo adeguati alle richiesta del mercato che cambiava. Dapprima abbiamo aggiunto le carni bovine alla vendita, poi abbiamo iniziato ad avvicinarci alla gastronomia, aggiungendo uno spiedo, poi un altro, poi una friggitrice…
La gente si stava abituando all’idea di poter acquistare cibo pronto per essere consumato.
Sì, la richiesta era sempre maggiore e lo spazio a disposizione era ed è sempre quello: 38 metri quadrati. Abbiamo ridotto progressivamente spazio alla carne cruda, fino ad eliminarla del tutto. Diventammo così una rosticceria a tutti gli effetti. In netta contrapposizione con il passato, oggi la nostra clientela è fatta prevalentemente di uomini. Cinquant’anni fa non ne vedevi uno.
Una rosticceria che in tutti questi decenni ha sempre riscosso grande successo tra i cittadini. Come lo spieghi?
Posso dire con orgoglio che la nostra attività è sempre cresciuta nel tempo. Certo, con guadagni minori o maggiori a seconda degli anni, ma i risultati economici sono sempre andati a migliorare. Basti pensare che siamo partiti in due, io e mia sorella, a cui si è poi aggiunto un mio fratello più piccolo, ed oggi siamo in venticinque a lavorare nell’attività di famiglia.
Perché abbiamo avuto successo? Non mi sono mai interrogato più di tanto su questo, abbiamo sempre fatto il nostro lavoro da autodidatti, mai avuto in cuoco. Negli anni abbiamo fatto tutte le nostre prove con le spezie e le cotture, al fine di ottenere il miglior pollo possibile.
I nostri polli sono buoni e convenienti. Nelle giornate di picco, ovvero quelle in primavera con bel tempo e in piena promozione, arriviamo a vendere 1350 polli, che è il massimo che la struttura ci consente. Questo dato mi basta.
Quando pensi che Giannasi abbia iniziato a essere percepito come un brand, sinonimo di ‘made in Italy’ e, ancor di più, di ‘made in Milan’?
Mi piace investire in comunicazione, sulla stampa come nelle affissioni in metropolitana. È una piccola soddisfazione personale quella di vedere il mio nome in giro per la città. Ma non è stato certamente solo questo a far parlare di noi. Come ho detto sono stati i prodotti e la gente che li ha apprezzati.
Poi certo, oggi esistono anche le magliette e i berretti customizzati Giannasi, simpatiche idee avute da mia figlia Paola che pongono il nostro marchi in una dimensione contemporanea.
Parli con grande entusiasmo delle tue attività. Questa è una passione.
Sono fortunato, partecipo ancora attivamente a tutte le attività del nostro chiosco. Faccio ciò che mi piace e ne ricavo anche uno stile di vita ben più che dignitoso. Cosa potrei chiedere di più?