«È lì che è nato Slow Food».
Questa è la frase che tutti mi hanno ripetuto ogni qualvolta io nominassi la Trattoria Masuelli San Marco, storico indirizzo milanese in cui amo andare per mangiare risotto, cotoletta e altro comfort del nord Italia.
Ma quando mi è stato chiesto di intervistare il patron Max Masuelli, mi sono sentito un po’ in soggezione. «Ok, Simone, hai intervistato tanti di quegli chef, stai calmo», mi ripetevo mentre raggiungevo viale Umbria 80. Eppure, non potevo fare a meno di pensare che se tra queste mura davvero era nato il movimento mondiale “Slow Food” di Carlo Petrini, sarei dovuto stare attento a non dire ovvietà.
Se ci sono riuscito? Non lo so.
Quel che è certo è che la famiglia Masuelli, pur nell’eleganza di preziosi lampadari in vetro e cimeli alle pareti, sanno farti sentire a casa appena varchi la soglia della loro attività. Ad accogliermi è stato un giovane lord, elegante e con un fare cordiale d’altri tempi. Scoprirò successivamente che si tratta di Andrea Masuelli, figlio di Max nonché quarta generazione, che qui si occupa della sala.
Max Masuelli arriva con un gran sorriso, ha una polo e i pantaloni corti, ma appena gli dico che dovremmo fare delle fotografie corre a cambiarsi e in una manciata di minuti eccolo in divisa da chef. Siamo pronti? No, mettiamo su un risottino, «Vuole il suo tempo, qui nulla è precotto», mi spiega.
Ecco, ora possiamo iniziare.
Ciao Max, con tanta storia non ci resta che partire dall’inizio. Com’è nata la Trattoria Masuelli?
Tutto nasce dai miei nonni, Francesco e Virginia. Originari di Masio, comune della provincia di Alessandria, al confine con quella di Asti, si trasferirono nel 1921 a Milano. Cominciarono a guardarsi attorno in città, con l’idea di avviare una trattoria, e individuarono via San Vincenzo, parallela di Corso Genova, come posizione ideale. Aprirono così la Trattoria Masuelli di Masuelli Francesco. Successivamente si trasferirono in viale Bligny.
Quando arriva la Trattoria Masuelli San Marco nella sua storica sede attuale?
Verso il 1929-1930, scoprirono il caseggiato in viale Umbria dove siamo ancora oggi, era in costruzione. Era una zona importante per la ristorazione, qui c’era il vecchio mercato della frutta e della verdura, il mercato del pollame e il macello. Si trasferirono e, per un motivo che non ci è ben chiaro, probabilmente burocratico, non riuscirono a spostare la licenza della sede di Bligny. Trovarono così nei mesi una licenza in vendita in via San Marco, il nome era Locanda con alloggio San Marco. La comprarono con l’intenzione di cambiare quanto prima il nome. Finirono con l’affezionarsi al nome, che a quel punto divenne e si mantenne nel tempo Trattoria Masuelli San Marco.
Chi frequentava all’epoca la Trattoria Masuelli San Marco?
Qui si veniva certamente per mangiare ma era anche un punto di ritrovo e di svago. Niente Black Jack o simili, qui si giocava a dama, ma anche a Scopa o Ruba Mazzetto.
Poi arrivarono la seconda e la terza generazione…
Sì, dopo i nonni, a occuparsi dell’attività furono mio padre Giuseppe, detto Pino, mia madre Cleofe, mio zio Renzo e la moglie Anna. I due uomini seguivano la sala, le due donne erano in cucina. La Trattoria Masuelli San Marco, con la sua cucina piemontese e milanese, divenne sempre più un punto di riferimento in città. Nel 1987 gli zii decisero di ritirarsi, per raggiunti limiti di età. Io già dal 1983 facevo il cuoco in altri ristoranti meneghini, avendo anche avuto la fortuna di lavorare con Gualtiero Marchesi, e i miei genitori mi chiesero di proseguire con loro l’attività. Accettai. I miei restarono nel ristorante fino al 2018. Oggi con me c’è Andrea, mio figlio e rappresentate della quarta generazione.
Cos’è rimasto della cucina originale di Trattoria Masuelli San Marco oggi?
Molto, certo stiamo attenti alle esigenze e alle richieste del mercato, ma il nostro approccio è quello originale: offrire una cucina di casa in pubblico.
La tradizione piemontese è molto presente nel vostro menu. Perché dunque il vostro piatto del Buon Ricordo, che dovrebbe rappresentare più di tutti il locale, sono le Milanesine (piccole cotolette) con il risotto?
Noi facciamo da sempre una cucina lombardo piemontese, forse un po’ più piemontese in effetti. Ma con l’arrivo nella trattoria di mio padre e mia madre Milano è stata più presente. Qui facciamo l’ossobuco ma anche il vitello tonnato, la bagna cauda ma anche i bolliti. Di tanto in tanto mi piace proporre dei piatti di mare, non per questo snaturo la nostra offerta, semmai la rendo più contemporanea. Il risotto, così come le piccole milanesine di vitello, rappresentano perfettamente il nostro modo di cucinare: nulla viene preparato prima, chi ordina il piatto sa che la cottura del suo risotto parte da zero e, per degustare un prodotto eccellente, è capace di aspettare. In questo senso il nostro piatto del Buon Ricordo ci racconta per quello che siamo, anche se devo dire che forse a breve vorrei proporne, dopo tante stagioni, uno nuovo.
Come prepari il risotto alla milanese?
So che molti utilizzano il burro, ma io personalmente tosto il riso con un goccio di olio extravergine d’oliva, senza aggiungere la cipolla. Successivamente sfumo con vino bianco. A questo punto lo faccio andare nel brodo vegetale fino a quando non è cotto. Aggiungo dello zafferano nazionale proveniente dalla Sardegna. Per la mantecatura utilizzo burro e Parmigiano Reggiano. Avendo una clientela internazionale, questa versione è quella che maggiormente va incontro alla richiesta. Chi gradisce la ricetta classica, che prevede l’impiego del midollo, ingrediente che per altro adoro, non ha che da prenotarla prima.
Si dice che qui sia nato Slow Food. Nessuno però aggiunge mai altro, né una storia, né un aneddoto. Ce lo racconti tu? Davvero qui è nato un movimento che negli anni è diventato planetario?
Come si può notare all’ingresso della trattoria, c’è una targa che afferma proprio quanto dici. È stata apposta da Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, a testimoniare e certificare che nella vecchia saletta di Trattoria Masuelli si riunivano i maggiori teorici del cibo. Innanzitutto Petrini, ma anche Antonio Piccinardi, Gianni Sassi, ideatore della rivista La Gola. Gli argomenti trattati erano quelli di cui tanto si parla adesso, per l’epoca davvero rivoluzionari. Quindi sì, in qualche modo l’idea di Slow Food ha cominciato a prendere forma qui dentro. Io posso raccontarti quello che so, ma se questi muri potessero parlare…