Una sua citazione ed è immediato il ricordo a quelle serate di Champions che ci hanno fatto emozionare. Dalla sciabolata morbida a quella tesa, passando per il mucchio selvaggio, “ccezionale”, incredibile, non va e proprio lui.
Oltre 1800 telecronache in carriera, una voce diventata un vero e proprio marchio di fabbrica: un timbro unico, una verve rara. Sandro Piccinini, all’anagrafe Alessandro, classe 1958, ha rivoluzionato letteralmente il modo di fare telecronaca.
Visualizza questo post su Instagram
Non tutti sanno che suo papà, Alberto, era un ottimo calciatore: vestì le maglie di Roma, Palermo, Juventus, Milan e anche quella azzurra. Anche Sandro provò a cimentarsi sul rettangolo verde, ma capì quasi subito che la sua strada era un’altra: in tribuna, a raccontare le gesta dei campioni.
E così, con binocolo e ricetrasmittente, iniziò la sua carriera.
Il vate della telecronaca italiana ha reso spettacolari le sue performance, rendendo speciale qualsiasi partita commentasse.
La sua prima telecronaca, come confermato da lui stesso, è di per sé leggendaria: su un albero a Montemario, Roma. Non aveva accredito per entrare allo stadio e così, con binocolo e ricetrasmittente, iniziò la sua carriera. Da quell’albero, di strada ne ha fatta, parecchia. Una volta, a Firenze, ha dichiarato di aver fatto una telecronaca dal telefono: 300 gettoni e il match venne così raccontato.
I miei primi ricordi legati a Sandro risalgono alla stagione 1996-97, quando seguivo la Champions in chiaro su canale 5. Non c’erano pay-tv, non c’erano decoder. Sentire quella voce al microfono, a cui ancora non sapevo dare un volto, mi emozionava: il suo modo di raccontare il match, la sua enfasi nel descrivere le azioni in campo mi hanno letteralmente fatto innamorare del calcio (e del giornalismo).
«C’è Del Piero, palla buona per lui: lui non sbagliaaa, reteee»
Ero più attento alle sue parole che alle vicende in campo, quando partiva la “sciabolata” sorridevo sempre. Piccinini è stato fra i primi commentatori a far parlare le immagini, come si dovrebbe sempre fare. La telecronaca, infatti, non è una radiocronaca e c’è anche bisogno di pause. Doverose. E non bisogna nemmeno eccedere con le informazioni a corredo del match, si rischia di diventare noiosi e pesanti.
«Non posso dire: ‘La palla ha assunto una traiettoria molto alta e dopo aver superato l’estremo difensore si perde inutilmente sul fondo’. ‘Non va’ mi sembra più incisivo. Il mio maestro è stato Enrico Ameri, ho applicato la sua tecnica alla tv.»
E come un alchimista nelle sue telecronache riesce ad equilibrare la giusta dose di informazioni, senza diventare pesante. Accompagnare la partita, non sovrastarla: questo il suo mantra.
Immancabile la domenica “pranzare” con Sandro: con Guida al campionato tutto il Paese si preparava a vivere le emozioni dei match delle 15.00, prima di ritrovare il mitico conduttore anche in seconda serata, pronto per Controcampo.
Il telecronista romano è stato un innovatore, il primo a cercare di eliminare la formalità: ha sempre instaurato un rapporto diretto col telespettatore, privo di inutili cerimoniali.
Bordata di fischi, bombone dalla curva, gran botta, numerooo, brividooo, arrembaggio finale: con questi termini Piccinini descrive quello che accade in campo e sugli spalti, coinvolgendo i telespettatori per tutti i novanta minuti.
Più volte ha svelato che la sua partita più stressante è stata Juventus-Milan, finale di Champions League del 2003: come dargli torto, difficilissimo evitare di ricevere “critiche” dai tifosi di entrambe le squadre.
La frase “Spot per noi” è diventata più che celebre, tanto da essere utilizzata anche nel gergo di tutti i giorni da addetti ai lavori e non solo.
Con la finale Mondiale 2018 tra Francia e Croazia Sandro ha salutato Mediaset, dopo oltre trent’anni di lavoro.
Attendo con ansia di risentire il mitico Sandrone in telecronaca: credetemi, ogni volta che lo ascolto, mi ritrovo nel salone di casa mia, con una tensione pre-partita addosso pazzesca, con il “pericolo” della eliminazione dalla Champions dietro l’angolo.
Insomma, c’è ancora bisogno, tanto, delle telecronache di Sandro Piccinini: perché ormai, per me, una semplice mischia in area di rigore non è più un insieme di calciatori che sgomitano in attesa della sfera ma è, e sarà sempre, un mucchio selvaggio.
«L’attesa è finita, si comincia…»